In questo periodo storico si sta facendo sempre più forte la voce di coloro (investitori, organizzazioni governative e non governative, economisti, cittadini) che invocano la necessità di 'riformare' il modello economico capitalistico, i cui principi sono considerati alla base della mancanza di sostenibilità – ambientale, sociale, economica – del mondo attuale globalizzato.
Sta andando in crisi, e viene sempre più rifiutato, il modello che vede l’impresa finalizzata esclusivamente alla massimizzazione dei risultati per gli azionisti. Diventa importante, quindi, capire come diventare un’impresa sostenibile, a cosa dare attenzione, dove mettere energie e risorse.
È superfluo ricordare a questo proposito che nell’agosto 2019 la Business Roundtable statunitense ha rilasciato una nuova dichiarazione, nella quale si è espressa in maniera molto decisa e chiara.
Ha infatti dichiarato che la massimizzazione degli interessi degli shareholder, ovvero degli/le azionisti/e, non può più considerarsi il fine ultimo dell’attività economica e ha quindi annunciato la modifica del 'purpose of a corporation' con la firma di 181 aziende associate.
Anche gli attori primari della finanza internazionale (come ad esempio Black Rock) negli ultimi anni hanno messo più volte in evidenza come il rischio ambientale e sociale si trasformi rapidamente in rischio finanziario, arrivando a considerare la sostenibilità come nuovo standard di investimento, incorporandola nella gestione del rischio, nella costruzione dei portafogli, nella formulazione di nuovi prodotti e nell’interazione con le società.
L’Europa non è da meno. Per esempio, le linee guida della European Banking Association sulla gestione e sul monitoraggio dei crediti, che saranno pienamente in vigore dal 30 giugno 2021, focalizzano l’attenzione anche sulle tematiche ESG (Environmental, Social, Governance). Le linee guida chiedono, infatti, che i rischi connessi al cambiamento climatico e alla transizione ecologica, inclusi quelli derivanti dai cambiamenti di sensibilità e di preferenze dei consumatori, siano adeguatamente considerati nella concessione del credito.
L’attenzione a questi temi non è limitata alle grandi imprese, ma tocca l’intera gamma dimensionale delle imprese: micro, piccole, medie e grandi. Le grandi imprese sembrano avere più strumenti per far fronte a queste nuove richieste.
Le medie, le piccole e le micro dovranno velocemente adeguarsi, dal momento che gli elementi e gli obiettivi di responsabilità ambientale e sociale dovranno essere sempre più documentati, qualificati e quantificati: non solo per poter accedere al credito bancario, ma anche per poter sviluppare rapporti con fornitori o entrare in filiere che già hanno intrapreso la strada della sostenibilità, così come per poter rispondere in modo adeguato e tempestivo alle richieste che i clienti, in quanto consumatori e cittadini consapevoli, pongono in modo sempre più chiaro e diretto.
La visione
Il contesto, nazionale e internazionale quindi, parla chiaro. Ma come diventare un’impresa sostenibile, generando valore e non solo profitti?
Per essere, per diventare un’impresa sostenibile e servire adeguatamente lo sviluppo della società, bisognerebbe smettere innanzitutto di concepirla come un’entità che persegue i propri interessi in contrapposizione a quelli di tutti gli altri e che ottiene il proprio vantaggio attraverso uno svantaggio per altri.
Bisognerebbe recuperare la buona natura dell’impresa. Questa, infatti, si sviluppa e prospera in ragione della sua capacità di rispondere consapevolmente e intenzionalmente alle esigenze della molteplicità dei suoi portatori di interesse, o stakeholder, sia primari (tutti coloro che hanno un interesse diretto nell’impresa, come gli azionisti, i dipendenti, i clienti, i fornitori, le istituzioni pubbliche), che secondari (tutti coloro che hanno una relazione indiretta con l’impresa).
Diventa, quindi, urgente ritrovare quella visione dell’impresa come attore sociale portatore di una propria e ineludibile responsabilità nello sviluppo della società, e in particolare del territorio nel quale opera.
Per far questo, è importante far emergere la consapevolezza della sua natura sistemica e inclusiva e dell’inscindibile legame tra lo sviluppo del suo business e quello del suo ruolo sociale.
Facendo leva su questa interdipendenza, la buona impresa accresce la coesione con i propri portatori di interesse, che si sentono premiati dalle sue scelte e che a loro volta premiano questo tipo di impresa, innescando un circolo virtuoso che di fatto favorisce lo sviluppo integrale della società.
La visione o, usando un approccio più contemporaneo, il proposito dell’imprenditori è la ragione per cui la sua impresa esiste.
E, in generale, può essere sintetizzato in “esercitare il proprio ruolo sociale attraverso le attività caratteristiche del proprio business: creare e organizzare il lavoro, realizzare prodotti o servizi, creare e distribuire ricchezza”.
La missione
Come far sì che il proposito dell’impresa sostenibile sia quotidianamente nutrito e alimentato?
Come far sì che le decisioni strategiche e operative, così come le azioni che ne conseguono, siano coerenti con la visione dell’impresa sostenibile?
Le azioni di Corporate Social Responsibility (CSR), o Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI), sono sufficienti a perseguire il proposito della buona impresa?
Michael E. Porter e Mark R. Kramer, docenti della Harvard Business School, nel 2011 hanno introdotto il concetto di 'creazione di valore condiviso' (Creating Shared Value - CSV), per promuovere e sostenere l'idea che "le aziende potrebbero riavvicinare il business e la società se ridefinissero il loro scopo come creazione di ‘valore condiviso’, ossia generando valore economico in un modo che produca anche valore per la società affrontando le sue sfide".
Rispetto al tipico modello di CSR, in cui le imprese spesso compiono (e comunicano) azioni a favore della società e/o dell’ambiente in aggiunta alla propria operatività quotidiana, il concetto di valore condiviso incoraggia le imprese ad adottare un approccio più riflessivo, più consapevole e strategico fin dall'inizio. Pertanto molto più proattivo, piuttosto che reattivo.
L’approccio del valore condiviso deriva da una fonte molto più autentica ed è guidato da una mentalità completamente diversa dal modello tradizionale di CSR.
Il valore condiviso è una strategia di gestione in cui le aziende trovano opportunità di business nella soluzione di problemi esistenti nella società.
“Mentre la filantropia e la CSR focalizzano gli sforzi sul 'restituire' o minimizzare il danno che il business ha sulla società, il valore condiviso focalizza i leader aziendali sulla massimizzazione del valore competitivo della soluzione dei problemi sociali" (Michael E. Porter & Mark R. Kramer, Creating Shared Value, Harvard Business Review, Jan-Feb 2011).
Cosa intendiamo esattamente con l’espressione 'valore condiviso'?
Esso può essere definito come l’insieme delle politiche e delle pratiche operative che migliorano la competitività di un'azienda e contemporaneamente fanno progredire le condizioni economiche e sociali delle comunità in cui opera. La creazione di valore condiviso si concentra sull'identificazione e l'espansione delle connessioni tra il progresso sociale e quello economico.
Se affrontiamo sia il progresso economico che quello sociale usando principi di valore, definiremo il valore in termini di benefici rispetto ai costi, non solo di benefici.
Nel business, infatti, la creazione di valore, il profitto, sono costituiti dalle entrate ottenute attraverso la vendita dei propri prodotti e servizi meno i costi sostenuti.
Tuttavia, le imprese hanno raramente affrontato anche le questioni sociali da una prospettiva di valore, le hanno trattate come mere questioni a latere. Questo ha impedito di vedere le connessioni tra questioni economiche e questioni sociali.
Nel settore sociale, pensare in termini di valore è ancora meno comune. Le organizzazioni sociali e le entità governative spesso vedono il successo solo in termini di benefici ottenuti o di denaro speso.
Ci sono, invece, molti modi innovativi e unici per incorporare un modello di business a valore condiviso in qualsiasi azienda. Il valore condiviso può "guidare la prossima ondata di innovazione e di crescita della produttività nell'economia globale, poiché apre gli occhi dei manager su immensi bisogni umani che devono essere soddisfatti, su nuovi grandi mercati da servire e sui costi interni dei deficit sociali, così come sui vantaggi competitivi che possono essere conseguiti attraverso l’affrontarli” (Michael E. Porter & Mark R. Kramer, Creating Shared Value, in Harvard Business Review, Jan-Feb 2011).
Il processo
Il primo passo del processo per diventare un’impresa sostenibile è stato anticipato nei due paragrafi precedenti: definire visione (o proposito) e missione della propria 'buona impresa'.
Prendersi del tempo per fermarsi a riflettere sul perché davvero si intende perseguire la strada della sostenibilità (ambientale, economica e sociale) e sul come si intende farlo, consente di chiarire, prima di tutto a sé stessi e in secondo luogo anche agli altri, l’intenzione profonda che guiderà le scelte strategiche e operative dell’impresa.
Chiarito, da parte dell’imprenditore, il perché e il come fare business in modo sostenibile, il secondo passo è quello di osservare l’impresa per come essa è e per come si relaziona con il mondo esterno: come è organizzata, come funziona, quali impatti genera internamente ed esternamente.
Potremmo chiamarla 'attività di autovalutazione', in cui l’imprenditore guarda alla realtà della sua impresa per come essa è, con mente aperta (senza pregiudizio), cuore aperto (senza cinismo) e volontà aperta (senza paura, con coraggio). Così da individuare in modo onesto e oggettivo ciò che già funziona in coerenza con l’intenzione espressa e ciò che invece va ripensato,riorganizzato o creato ex-novo.
Da questa attività di autovalutazione scaturiscono, quindi, delle azioni specifiche di miglioramento, che rendono l’impresa sempre più allineata con la sua visione e missione.
Infatti, aumentare la conoscenza che l’impresa ha di sé, acquisire consapevolezza degli squilibri interni tra le diverse finalità dell’impresa, rilevare le informazioni disponibili, organizzarle in un quadro sistemico che evidenzi anche le correlazioni tra loro, rende possibile riflettere in chiave strategica sugli interventi di miglioramento possibili, nel breve e nel lungo periodo per:
- migliorare significativamente la propria performance
- ottimizzare costi e processi
- liberare il potenziale inespresso
- comprendere come superare gli ostacoli
- formulare piani d’azione efficaci e sostenibili in grado di generare maggiore valore per tutti.
Il modello che propone Bottega Filosofica per il lavoro di analisi, di autovalutazione e per lo sviluppo conseguente, è il “Modello della Buona Impresa”, che abbiamo contribuito a mettere a punto su input della Fondazione Buon Lavoro insieme a un ampio gruppo di lavoro interdisciplinare guidato da PwC e Goodpoint.
Il "Modello della Buona Impresa” è un framework per osservare e valutare la capacità delle imprese di portare un beneficio agli stakeholder, innanzitutto attraverso i pilastri della sua attività: creare e condividere valore economico, dare valore al lavoro dei singoli individui, portare sul mercato prodotti o servizi in grado di rispondere alle esigenze della società” (da "Il Modello della Buona Impresa").
Il “Modello della Buona Impresa” si concentra, quindi, sulle interrelazioni tra gli stakeholder primari e assume spontaneamente come finalità, oltre che la creazione di valore per gli investitori, anche la qualità del contributo dei suoi prodotti per la società e la soddisfazione di un’aspettativa di buon lavoro per lavoratori e fornitori.
“Un buon prodotto e un buon lavoro, dunque, non sono visti come obiettivi degli stakeholder che l’impresa deve rispettare, ma sono assunti come obiettivi dell’impresa stessa, tanto quanto il profitto. Rappresentano, infatti, insieme alla creazione di valore economico, il senso stesso del fare impresa e il principale contributo che essa porta alla società.
Facendo leva su questa interdipendenza, la Buona Impresa accresce la coesione con i propri portatori di interesse, che si sentono premiati dalle sue scelte e che, a loro volta, premiano questo tipo di impresa, innescando un circolo virtuoso che di fatto favorisce lo sviluppo integrale della società” (da "Il Modello della Buona Impresa").
Piano d'azione/Messa in pratica
Il “Modello della Buona Impresa” definisce criteri e aree di valutazione rispetto alla capacità dell’impresa di creare valore per la società, nel tempo.
Consente così (innanzitutto all’imprenditore, in seconda battuta agli stakeholder) di valutare se l’impresa faccia bene il suo mestiere e se, così facendo, porti un beneficio agli stakeholder.
Al cuore del modello di valutazione ci sono l’impresa e le sue finalità. Il primo impatto a cui essa guarda è, quindi, quello generato attraverso il suo stesso modello di business.
A un secondo livello viene valutato l’impatto totale dell’impresa sulla Società e sull’Ambiente ovvero le sue molteplici e rilevanti ricadute esterne, dirette o indirette.
Si tratta di un modello di valutazione utilizzabile per qualsiasi tipo di organizzazione, indipendentemente dalla forma giuridica, dalle dimensioni e dall’oggetto sociale, a patto che si tratti di un’attività economica organizzata ai fini della produzione o dello scambio di beni o di servizi, con l’obiettivo di permanere nel tempo.
Ha, inoltre, una struttura per certi versi flessibile, a partire dalla quale definire, in fase di applicazione, cosa guardare e con quale livello di dettaglio, adattando e scalando il modello in base alle caratteristiche delle imprese e agli elementi più o meno rilevanti in relazione ai diversi modelli di business.
Il “Modello della Buona Impresa” identifica 5 pilastri che costituiscono anche 5 aree di indagine – e quindi di sviluppo - attraverso le quali l’impresa è 'aiutata' nell’identificare e definire il proprio valore sociale nei confronti dei principali stakeholder.
Può quindi riconoscersi e presentarsi al mondo come 'buona impresa' nel momento in cui, dando vita e coerenza al suo scopo, al suo proposito, ciò che sente come la sua ragion d’essere, riesce a:
- portare sul mercato buoni prodotti/servizi in grado di rispondere a un bisogno delle persone
- Creare e organizzare un buon lavoro per le persone
- Creare e condividere valore economico puntando non solo alla redditività di breve periodo, ma anche alla crescita del valore dell’impresa nel lungo
- Agire responsabilmente verso l’ambiente e la comunità
- Governare l’impresa in modo trasparente, economicamente e socialmente sostenibile.
In maniera semplificata, il modello di valutazione può essere visto come una sorta di 'check list' rispetto ai punti su cui interrogarsi, per mettere a fuoco le proprie aree di forza e individuare quelle di miglioramento.
La caratteristica più rilevante del modello è il suo approccio sistemico: il valore della Buona Impresa si trova nel 'tenere insieme', non nei singoli elementi.
L’azienda viene quindi vista come un tutto, il cui valore va oltre la semplice 'somma' delle parti. In questo senso, la rappresentazione conclusiva della valutazione di una Buona Impresa in base a questo modello non è semplicemente un numero, ma un insieme di valutazioni in grado di dare evidenza dei risultati ottenuti nei diversi pilastri e, relativamente a ciascuno di essi, nelle singole dimensioni, nessuna delle quali è fungibile rispetto alle altre, che vanno presidiate, a una a una, come obiettivi specifici dell’impresa.
Autovalutarsi in maniera strutturata, completa e integrata consente di avere una base affidabile di misurazione quali-quantitativa per la formulazione di piani d’azione, volti a generare maggiore valore per l’impresa e per tutti. Questo consente anche di affinare proprio modo di fare business, attraverso la ricerca di una sempre maggiore armonia tra i 5 pilastri in un’ottica di lungo periodo, e di monitorarne nel dettaglio l’andamento.
Certificazione per la sostenibilità
Quando parliamo di 'certificazione' in Italia, secondo la nostra normativa, volendo essere corretti, ci dovremmo riferire esclusivamente alle certificazioni ambientali che hanno valore legale poiché rilasciate, a seguito di un audit, realizzato da un organismo terzo, indipendente e accreditato dall’ente di accreditamento italiano Accredia.
Al momento non ci sono certificazioni della sostenibilità - intese come sopra - nella sua accezione sistemica, ma solo certificazioni ambientali, Queste sono strumenti, a disposizione delle aziende, per valutare e certificare l’impegno delle stesse, attraverso l’adozione di sistemi di gestione secondo le norme e gli standard di riferimento, verso le tematiche di sostenibilità ambientale. E di tutela e impatto ambientale delle loro attività produttive.
Per le aziende che non sono obbligate dalla legge ad essere certificate perché hanno un profilo ad alto impatto ambientale, l’adozione di sistemi di gestione e standard per la certificazione ambientale è volontaria.
Come prendere formalmente e rendere allora visibile l’impegno dell’impresa ad essere sostenibile a 360°?
Come testimoniare la comprensione lo scopo profondo dell’impresa in tutte le sue sfaccettature, impegnarsi autenticamente nel cammino per essere impresa pienamente sostenibile, in una prospettiva di miglioramento continuo della propria capacità di costruire bene proprio e, contemporaneamente bene comune?
Attualmente ci sono due possibili modalità per farlo in maniera riconoscibile:
costituire o trasformare l’impresa in Società Benefit
ottenere il riconoscimento internazionale come Certified B Corp. Attenzione, non si tratta di una “certificazione” per come l’abbiamo descritta prima ma di un prestigioso riconoscimento internazionale conseguibile solo rispettando elevati standard di sostenibilità definiti a livello globale da un ente no profit, il B Lab, partner anche dell’ONU per la valutazione dell’attività delle imprese in relazione agli SDGs, gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 20230.
La Società Benefit è stata introdotta nella normativa italiana con la Legge 2015/208.
Diventando Società Benefit l’impresa assume formalmente e definitivamente l’impegno di essere una buona impresa, un’impresa rigenerativa, potremmo dire, che crea nella società più valore di quello che dalla società trae, superando anche la logica meramente compensativa dell’impatto più generalmente adottata.
Il percorso che porta alla trasformazione in Società Benefit richiede particolare consapevolezza e cura, in quanto va a modificare in via permanente il DNA dell’azienda e le sue regole di governance, per farne un driver di competitività, che valorizzi pienamente elementi di cooperazione e di condivisione con l’ambiente, il territorio, gli stakeholder.
Per ottenere la certificazione B Corp, l’azienda deve innanzitutto compilare il BIA (Business Impact Assessment), uno strumento di analisi disponibile gratuitamente on line anche in italiano e, qualora consegua un punteggio minimo di 80/200, può proseguire l’iter di valutazione internazionale fino al riconoscimento come Certified B Corp.
In sintesi, un’azienda che sceglie di diventare Buona Impresa, o che si rende conto di esserlo già, può decidere di mettere questa informazione al servizio del suo potenziale reputazionale, attraverso:
- attività di comunicazione interna ed esterna mirate,
- la trasformazione in Società Benefit,
- la certificazione B Corp.
Una di queste possibili azioni non esclude le altre, la scelta dipende da ciò che l’imprenditore intende perseguire e come. Anche questa scelta va fatta con consapevolezza, per evitare che il beneficio reputazionale si trasformi, come un boomerang, in un potenziale danno.
Noi di Bottega Filosofica, Società Benefit certificata B Corp, abbiamo contribuito alla creazione e messa a punto del Modello Buona Impresa, abbiamo fatto esperienza diretta di tutto questo, lo abbiamo esplorato, sperimentato, vissuto.
E lo stiamo condividendo con i nostri clienti, convinte che agire in modo sistemico porti le organizzazioni e la società tutta a evolvere significativamente e rapidamente. Anche questa, per noi, è sostenibilità.