Essere efficaci con le domande

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Domandare ci rende efficaci. Saper domandare, come ci insegnano numerosi studi scientifici e gran parte della cultura filosofica, è la via principale per creare relazioni profonde reciprocamente profittevoli.

Domandare per sapere, non per avere.

Non a caso, i latini usavano verbi diversi per le due azioni: quero per sapere, peto per avere.

La distinzione sopravvive anche in italiano, dove una questione è un tema suscettibile di confronto - e, quindi, presuppone uno scambio tra le parti - mentre una petizione è l'espressione di una necessità che si chiede essere soddisfatta, nel presupposto che sia legittima e fondata (autoevidente).

Ciò su cui vogliamo concentrarci è il domandare per sapere e – soprattutto - per sviluppare la relazione e generare arricchimento reciproco.

Da filosofe e coach ne conosciamo lo straordinario valore, qualunque sia l'ambito - personale e professionale - in cui poniamo domande.

I vantaggi del domandare

"Le risposte sono stanze chiuse, le domande porte aperte che invitano a entrare.” (Nancy Willard)

Uno dei testi non filosofici più significativi - per noi - sul tema, è certamente "The humble inquiry" di Edgar H. Schein (pubblicato in Italia da Guerini NEXT con il titolo "L'arte di fare domande"), il cui occhiello recita "la nobile arte di domandare invece di dire".

Domandare presuppone che chi si appresta a compiere l'azione si predisponga - mentalmente, emotivamente e fisicamente - a:

  • provare sincera curiosità per ciò che si sentirà rispondere
  • accantonare preconcetti, presunzioni e pre-giudizi sulla persona e/o sull'argomento
  • ascoltare con attenzione ed empatia.

Cosa ottengo ponendo domande con questo approccio?

  • sviluppo una relazione più profonda con l'altr*. Nel porre domande sto implicitamente dicendo "mi interesso a te, alle tue idee, alle tue sensazioni ed emozioni, alle tue conoscenze ed esperienze, alla tua storia”
  • ottengo informazioni di cui ho bisogno
  • imparo cose che non sapevo
  • arricchisco il mio bagaglio esperienziale con le esperienze altrui. Per chiarezza e senza entrare troppo nel dettaglio: il nostro cervello non distingue tra esperienze dirette ed esperienze narrate da persone che reputiamo credibili. Per fare un esempio semplice: non abbiamo bisogno di scottarci per sapere che è meglio non toccare il fuoco.
  • se ne nutro il desiderio, aiuto l'altr* a far chiarezza in sé, a trovare autonomamente soluzioni sostenibili ai propri problemi e ad accelerare la propria crescita.

Tutto senza dover affermare alcunché, senza dover mostrare alcun sapere: 'solo' facendo le giuste domande.

Cosa ottiene chi riceve domande con questo approccio?

  • si sente valorizzat* e al centro del dialogo (senso di importanza)
  • ha la possibilità di condividere idee, emozioni, conoscenze, esperienze contribuendo ad accrescere un patrimonio comune (senso di utilità)
  • può fare maggior chiarezza nelle proprie idee, emozioni e convinzioni approfondendole attraverso le domande (senso di sicurezza).

La difficoltà di porre domande vere e come uscirne

Nonostante le nostre migliori intenzioni, domandare - invece di affermare - ci costa fatica, per diversi motivi, tra i quali:

  • mina le nostre certezze.
    È nella nostra natura: quando qualcuno ci parla - magari racconta - il nostro cervello inizia automaticamente a scartabellare tra le informazioni che già ha e - se quello che sta sentendo non è coerente con esse - si setta in modalità ‘chiusura’.
    Anche quando stiamo domandando per avere un'informazione, o una nozione di cui abbiamo bisogno, una volta ottenuto lo scopo, il resto – per così dire - non ci interessa
  • se ci muove il desiderio di portare un contributo, pensiamo sia più veloce e utile dare un consiglio o portare la nostra esperienza.
    Peccato che l'altra persona non è noi: ha vissuto un'altra vita; ha proprie sensibilità, esperienze e idee; ha una propria scala di valori e principi che la guidano; ecc. In breve: ciò che ha funzionato o funziona per noi, non necessariamente funzionerà per lei.

Quindi? Non possiamo esprimere opinioni o dare consigli non richiesti? Naturalmente sì, ma è meglio prima indagare se è davvero ciò che dall'altra parte si aspettano da noi. Di nuovo: facendo domande...

Come superiamo il blocco?

Con l'esercizio: per imparare a far domande dobbiamo far domande.

E farle - come recita il libro di Schein - con atteggiamento umile.

Ovvero ponendoci - rispetto a quella specifica serie di domande - in una posizione di ‘dipendenza’.

La conversazione - la relazione che sottende e ne deriva - la sequenza e il tenore delle nostre ulteriori domande, dipende dalle risposte che riceviamo.

Ciò comporta che non possiamo prevedere come si svilupperà la conversazione né dominarla ma 'solo' viverla.

Per accettare la dipendenza e la perdita di controllo dobbiamo lasciarci guidare da sincera curiosità, empatia e consapevolezza di noi stess* e delle reali motivazioni che ci spingono a domandare.

Uscire dai luoghi comuni sul domandare

Una affermazione che capita spesso di sentire e leggere è "chi domanda guida".

Cosa vuol dire esattamente?

  • Ciò che chiediamo orienta i pensieri di chi ci ascolta.
  • Come domandiamo (tono, volume e ritmo della voce, postura e prossemica) influisce sul suo stato d'animo.
  • Da dove domandiamo (il luogo fisico e anche il livello della nostra relazione) influisce sulla quantità e sulla qualità delle risposte

Tutto vero e tuttavia - a meno di recitare a memoria un copione senza interagire -:

  • le risposte che riceviamo orientano le nostre domande successive
  • come ci viene risposto orienta il nostro stato d'animo
  • la quantità e la qualità delle risposte che riceviamo ci conferma nella qualità della relazione che pensavamo di avere o ne definisce una nuova ri-orientando la conversazione.

Perciò, non c'è qualcun* che guida e qualcun* che viene guidat*.

È un 'passo a due', non un assolo.

Un altro luogo comune del quale è utile liberaci è che per fare una domanda sia sufficiente apporre un punto interrogativo al termine della frase.

1 . "Non trovi che la mia idea sia geniale?"

Non è una domanda: sto affermando che la mia idea è geniale e sto solo cercando conferme.

Altro è chiedere: "Cosa pensi della mia idea?" Dove 'geniale' è una delle innumerevoli possibili risposte.

La prima è una domanda retorica - che contiene in sé la risposta - e non apre al dialogo, lo chiude.

Le uniche risposte possibili sono 'sì' e 'no'.

'No', minando la mia sicurezza, potrebbe rendere complicato il prosieguo della conversazione.

'Sì' potrebbe essere una risposta sincera così come una risposta data per cortesia o per opportunità.

E difficilmente chi la riceve vuole approfondire...

2. "Hai pensato di fare...?"

Anche qui il punto interrogativo è una mera inutile appendice. Quello che in realtà sto dicendo è: "Secondo me dovresti fare questo o quello o in questo modo”.

Sto esprimendo un'opinione e dando un consiglio - o un ordine a seconda dei ruoli - con un superfluo e presuntuoso punto interrogativo alla fine.

Le domande che devi benedire

Per imparare a fare bene le domande, dobbiamo abituarci a riceverle e – scusate il gioco di parole – domandarle.

Ci sono domande estremamente preziose, anche se non sembrerebbe, e che dobbiamo imparare ad accogliere, per imparare poi a porle a beneficio del nostro interlocutore o interlocutrice.

Sono le domande che ci mandano in crisi, quelle che mettono in discussione le nostre certezze.

Attenzione: non significa che si debba cambiare idea.

È una verifica.

Riflettere sulla domanda ci aiuta ad analizzare dall’esterno la nostra posizione.

Nota bene: riflettere sulla domanda, non sulla risposta da dare.

Significa – anche in questo caso - metterci in una posizione di puro ascolto; la risposta, forse, verrà poi.

In questa fase dobbiamo accogliere la domanda e chi la pone senza barriere né timori.

Perché nella domanda non c’è necessariamente un intento predatorio.

Di norma, lo scopo della domanda non è mettere in discussione le nostre idee né noi come persone.

La domanda è una richiesta di chiarimento e/o approfondimento; e concentrandoci su di essa, torniamo alle basi su cui si è fondata la nostra convinzione.

E potremmo scoprire che sono solide e in grado di sostenere ciò che ci stiamo costruendo sopra.

O che dobbiamo rafforzarle. O che non sono poi così consistenti e conviene sostituirle con altre.

A questo punto, avere la risposta ‘giusta’ non è poi così importante.

A questo punto, ciò che diventa veramente importante è l’analisi che ha generato.

Anche se il risultato sarà che una risposta proprio non la abbiamo.

Domandare è uno strumento di efficienza

Al di là di resistenze culturali ed emotive di cui abbiamo parlato, a volte si pensa che fare molte domande - per raccogliere informazioni e per approfondire la relazione - rappresenti una perdita di tempo, soprattutto quando si tratta di un incontro professionale il cui obiettivo è presentare e valutare una proposta (commerciale, negoziale, procedurale, ecc.) e l'incontro deve avvenire e finalizzarsi entro un tempo definito.

Il timore è che le domande aprano a possibili risposte che - da un lato - potrebbero spostare l'attenzione via dall' oggetto dell'incontro e - dall'altro lato - potrebbero essere difficili da gestire, soprattutto per la durata.

Meglio andare subito ‘al sodo’, senza tergiversare.

Non tutte le organizzazioni hanno questa visione.

Per noi di Bottega Filosofica, le domande sono il carburante di ogni conversazione che sia realmente profonda e generativa.

Ne siamo talmente convinte e ne parliamo talmente spesso, che un'azienda ci ha trovate grazie a una ricerca su internet proprio sul domandare.

La premessa

Questa azienda ha una rete commerciale ad alta formazione tecnica, molto preparata e fidelizzata.

Pur essendo soddisfatta dei propri risultati, da un'indagine più approfondita con i membri della rete aveva rilevato che:

  1. gli appuntamenti commerciali avevano una durata eccessivamente lunga per il tipo di offerta
  2. il tasso di conversione non era proporzionato alla qualità delle consulenze e al tempo dedicato.

Approfondendo l'indagine attraverso interviste individuali, ne era emerso un processo più o meno omogeneo strutturato in 3 fasi:

  1. conversazione per entrare in relazione di durata variabile (da pochissimi minuti a decine)
  2. lunga e dettagliata descrizione dell'offerta, con tutte le caratteristiche tecniche
  3. tentativo di finalizzazione; che a volte - per ragioni di tempo - doveva esser rimandato a un ulteriore appuntamento.

La direzione commerciale aveva rilevato la totale assenza di analisi dei bisogni del(la) prospect e l'aveva identificata come causa principale del livello di conversazione.

Da qui la ricerca di una struttura cui affidare la formazione sul domandare.

Il nostro processo

In Bottega Filosofica non amiamo portare soluzioni nelle organizzazioni.

Preferiamo - invece – co-progettarle con la committente, consapevoli che - nonostante la grande esperienza, la preparazione e la sensibilità sviluppata anche verso i c. d. segnali deboli – nessun* conosce un' organizzazione come chi ne è parte.

Perciò, abbiamo analizzato insieme l'indagine interna e letto un po' tra le righe, arrivando a convenire su diverse aree di intervento tra le quali:

  • emersione e gestione delle resistenze individuali rispetto al porre domande nella fase di costruzione della relazione (timore di invadenza nella sfera privata, eccesso di confidenza, valore percepito di questa fase nel processo di vendita, ...)
  • strumenti e metodologie per 'leggere' tra le righe della conversione e adottare un atteggiamento più empatico con il/la prospect
  • definizione e sperimentazione delle differenti tipologie di domande (l'unico momento un po' più formativo)
  • lavoro sull'atteggiamento per personalizzare il processo, in modo da renderlo spontaneo e autentico.
  • creazione di coppie di buddy coach per supportarsi nella sperimentazione delle nuove metodologie.

Come si noterà, molto più di una lista di domande per far una corretta analisi dei bisogni.

Come nostra abitudine, al ‘cosa’ abbiamo abbinato il ‘come’, convinte che l'efficacia di uno strumento sia strategicamente legata al modo in cui lo si utilizza, più che alle sue caratteristiche tecniche.

Cosa è accaduto

Il percorso ci ha impegnate per un'intera giornata.

Ebbene sì: un'intera giornata dedicata al domandare in tutte le sue possibili sfaccettature e implicazioni: emotive, pratiche e funzionali.

Poca teoria e molta pratica, come amiamo - da facilitatrici – in Bottega Filosofica.

Pratica - a sua volta - facilitata e guidata da noi, dividendo le/i partecipanti in piccoli gruppi che hanno condiviso i momenti e le attività di apertura e chiusura della giornata e poi hanno lavorato in parallelo, separat* ma facendo le stesse cose nello stesso momento.

Siccome, da appassionate dell'apprendimento, conosciamo il valore dello studio e della conoscenza teorica, ci ha fatto piacere regalare a tutt* le/i partecipanti una copia del libro di Edgar Schein "L'arte di fare domande” perché conservassero un ricordo della giornata, un 'memento' dell'obiettivo di performance per il quale avevano partecipato e una delle basi teoriche sulle quali erano state costruite le attività della giornata.

Nel tempo, oltre a svolgere ulteriori attività per altre realtà legate all'organizzazione, siamo state felici di sapere che le performance medie erano effettivamente migliorate così come il livello di soddisfazione della rete commerciale e dell'organizzazione.

Questa esperienza, insieme ad altre analoghe, ci ha convinte a realizzare un percorso nella nostra academy business – SIAacademy - per consentire a persone singolarmente interessate al tema di approfondirlo con noi (la SIAacademy prevede percorsi da remoto ma sincroni, in modalità workshop e group coaching), anche quando la propria organizzazione non fosse (ancora) interessata a - o nelle condizioni di - approfondire il tema.

Domandare è il modo con il quale entriamo davvero in relazione con noi e con il mondo e facilitiamo la nascita di conversazioni reali e realmente generative perché, come diceva George Bernard Shaw: “Il problema più grande della comunicazione è l’illusione che abbia avuto luogo”.