Leadership femminile, non leadership al femminile!

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A proposito di leadership femminile, qualche anno fa scrivevo, in un articolo su Linkedin, che questo era il modo più giusto di esprimersi per riferirsi alla leadership delle donne mentre l'espressione leadership al femminile mi faceva venire l’orticaria, gigante.

Lo confermo anche oggi. Soprattutto in questi giorni in cui si parla tanto di empowerment femminile ma mi sembra che il contesto pulluli di insidie nella forma delle visioni della vita, del successo e del recruiting affermate con sicurezza da qualcuna (vedi il caso della recente intervista a Elisabetta Franchi) o dei pregiudizi inconsapevoli che abitano le menti di molt*.

Cos'è

L’espressione ‘leadership al femminile’ denuncia, a mio parere, proprio uno dei pregiudizi inconsapevoli nei quali possiamo incorrere.

Mi sembra, infatti, fondata sul presupposto implicito – e spesso del tutto inconsapevole - che esista una leadership neutra (davvero?) o, come più probabile, che ‘di default’ la leadership sia ‘maschile’ e che ora, che nelle organizzazioni serve un approccio meno macho, questa leadership possa essere declinata più ‘al femminile’, per l’appunto.

"Abbiamo bisogno di ‘competenze di cura’, di ‘gentilezza’ e allora facciamo un po’ di spazio anche alle donne che aiutano ad ammorbidire un po’ l’ambiente". Si legge o si ascolta spesso qualcosa di simile.

A volte ci si ricorda che ci sono donne scienziate, donne CEO di grandi aziende globali, donne in posizioni centrali di governo nel Mondo. Donne astronaute, come Samantha Cristoforetti che, in occasione della nuova recente partenza nelle interviste come sui social, suscitava grande stupore per come riuscisse a conciliare gli impegni della vita familiare con le lunghe missioni nello spazio.

Dannato tema della conciliazione vita-lavoro, cavallo di battaglia di tante battaglie femminili.... Purtroppo solo a favore delle donne, perché questa conciliazione, si sa, riguarda solo le donne!

Così come l'interrogativo posto a Cristoforetti non riguarderebbe mai un uomo, non un uomo astronauta ma un uomo tout court.

Ma la cosa più notevole è che in virtù della sua risposta, Cristoforetti è stata additata come esempio stra-ordinario, rivoluzionario, di emancipazione femminile.

Per me lei, come tante altre donne a proprio agio nella propria vita stra-ordinaria – non per una donna ma per qualunque persona – è solo un bell’esempio di leadership autentica femminile (quindi non ‘al femminile’, ma, semplicemente ‘femminile’ ovvero espressa da una donna).

Di cosa si tratta

Per me, quindi,  la parola leadership può accompagnarsi solo ad ‘autentica’ e quando ci si riferirà a una donna si tratterà di una leadership femminile così come, se si parlasse di un uomo, sarebbe giusto definirla leadership maschile.

Questo non vuol dire che non ci siano delle caratteristiche della leadership espressa da una persona che non siano legate alla sua identità di genere ma voglio sottolineare che questo rientra nelle caratteristiche di autenticità di quella persona come altre la connotano derivanti dalla sua natura e dalla sua cultura, in senso antropologico).

Allora credo proprio che il primo passo da compiere, in tema di empowerment femminile - ovvero di empowerment delle donne -, sia conoscere meglio noi stesse, riuscire a vedere la nostra essenza – per renderla manifesta anche agli altri come peculiare e autorevole (leadership, quindi) – e compiere quel processo di ‘individuazione’ che può essere ben parafrasato dalla frase di Nietzsche: "Diventa ciò che sei".

Sviluppo della leadership è prima di tutto intraprendere un cammino di liberazione dai ‘viluppi’ che ci trattengono aumentando la consapevolezza di noi stesse a partire dalla domanda  “Qual è la mia ‘chiamata’ autentica e unica, quale il senso della mia vita? Perché sono nata? Perché sono proprio qui, proprio ora?

Si tratta quindi di porsi domande antichissime, perché fondanti e quindi cruciali. Come lo è anche quest’altra che poneva Epitteto, filosofo stoico dell’antichità, "Che genere di uomo (o donna) vuoi essere? Comincia con il dirlo a te stesso, dopo di che regola il tuo comportamento in base a questo modello". (D,III, 23,I).[1]

Questo avvia un processo - senza fine, se non il termine della nostra vita - che implica una scelta, una assunzione di responsabilità verso se stesse e verso il mondo. Un processo di empowerment, appunto, come potremmo definirlo oggi.

"Per questo l’uomo (o la donna), più che inventarsi, sceglie piuttosto di diventare se stesso a partire dalla propria natura e dal tipo di vita che decide di fare, conferendo dunque spessore esistenziale a quell’identità che altrimenti sarebbe solo un’astrazione tautologica (io sono io) […] Inoltre, per quanto il nostro carattere possa essere marcato e la nostra personalità ben definita, abbiamo sempre la possibilità di prenderci cura di essi, sviluppandone o svilendone le potenzialità, smussandone i difetti, superandone i limiti e indirizzando il nostro modo di essere verso ciò che sentiamo rispecchiarci e appartenerci e, soprattutto, facendoli cooperare alla realizzazione della nostra identità". [2]

Sviluppare la propria leadership è, allora, prendersi cura di sé, incessantemente, per sviluppare tutte le nostre potenzialità - ciò che siamo -, conoscendo profondamente le nostre caratteristiche e imparando come superare i nostri limiti usando come leve proprio quelle caratteristiche che abbiamo scoperto. 

Come afferma Umberto Galimberti in una bel video di qualche anno fa, "se davvero diventi te stesso, al di là dei modelli che vuoi imitare, al di là delle belle cose che ti vengono fatte vedere, se riesci a diventare te stesso, raggiungi la felicità […] diventare se stessi è la condizione non solo della salute ma addirittura della felicità".

Perché l’ho fatta così lunga per parlare di empowerment delle donne e di leadership femminile?

Perché partire da se stesse è cruciale. E non ci sono una leadership al maschile e una leadership al femminile, c’è solo la consapevolezza di sé e della realtà e il desiderio di vivere pienamente e di essere felici, per tutti.

Esempi

Riflettiamoci bene, da ‘follower’

A meno di comportamenti patologici, a chi guardiamo come esempi? A chi ci affidiamo? Chi siamo disposte a seguire come guida se non una persona che ci sembra essere pienamente e felicemente se stessa? 

E una persona ci sembra tale quando sentiamo che non ha bisogno di indossare maschere perché sa che la sua capacità di influenzamento deriva dalle sue qualità autentiche – fatte indissolubilmente di mente, cuore e mani - e da come riesce a irradiarle intorno a sé.

Siamo disposte a seguire chi ispira fiducia senza bisogno di parole, perché sa prendersi cura degli altri – e lo fa - perché è capace – e lo fa – di prendersi cura di sé. Chi sa chiedere aiuto con umiltà, perché conosce la propria vulnerabilità e la sa accogliere e trasformare in una forza, non la nasconde ed è capace di sorriderne, anche. 

Siamo disposte a seguire chi sa guardarsi da fuori perché si conosce da dentro, chi vediamo essere presente a se stessa mentre agisce.

Siamo disposte a seguire chi sa correggere il suo agire senza sentirsi sconfitta perché non sta in una logica vincente-perdente ma in quella del superiore bene comune in quanto si sente profondamente parte di un sistema più grande. 

Tutto questo per me è essere leader ed è contemporaneamente indipendente dal genere ma connotato dal genere

Mi spiego meglio: se la vera leadership è quella che esprimiamo sapendo diventare ciò siamo e mostrandoci agli altri per quello che siamo, pienamente, allora di questo che siamo, in quanto donne, fa parte anche l’essere donne.

Questo essere donne opera come un lignaggio, ci connette a una tradizione di conoscenza, di saperi, a dei modi di condividere e di apprendere, per esempio, che sono radicati nel nostro inconscio collettivo.

Per questo, in base alla mia personale esperienza di partecipante e di facilitatrice dell’apprendimento, credo che, all’interno del proprio cammino di sviluppo di una leadership autentica, un momento formativo (auto-formativo e tras-sformativo) condotto in un gruppo consapevolmente ‘di genere’, sia un acceleratore di crescita, un’occasione di empowerment  particolarmente potente.

Consente infatti di raggiungere livelli di profondità e di empatia molto elevati proprio perché affonda le radici nell' inconscio collettivo delle donne.

Pensando a un momento formativo rivolto alle donne, l’attenzione di genere aiuta nel superare scelte di percorso stereotipate e a sostenere una progettualità in grado di aiutare le donne a darsi obiettivi personali e professionali realmente propri e mai penalizzanti. 

Le donne, inoltre, preferiscono contesti di apprendimento che tengano conto della loro identità, delle loro competenze e dei loro bisogni e una metodologia che superi punti di vista e modi di operare falsamente neutri. 

Nei programmi di sviluppo personale, le donne amano l’utilizzo di strumenti narrativi per ricordare esperienze concretamente vissute e lo stabilirsi di un clima relazionale caldo e accogliente che invita alla sincerità e alla confidenza. Apprezzano l’approccio esperienziale, l’attenzione alle risorse e ai bisogni individuali coniugata con il lavoro di gruppo considerato risorsa per tutte.

Queste sono le caratteristiche che ho trovato - e che amo - nel programma internazionale Coming Into Your Own, un programma di sviluppo personale e della leadership autentica rivolto specificamente alle donne. 

Non quindi un programma di sviluppo della ‘leadership al femminile’ ma, piuttosto della ‘leadership femminile’ nel senso di ‘leadership delle donne’, degli esseri umani di genere femminile. 

Un programma di genere, perché certamente il genere influenza il modo in cui ciascuna donna esprime se stessa – e quindi la propria leadership –, ma soprattutto un programma in grado di far emergere, riconoscere a dare valore alla soggettività e al modo peculiare di essere di ogni partecipante.

Questo non è merito solo della metodologia ma anche del fatto che il CIYO è, sostanzialmente, un percorso individuale all’interno di una esperienza in cui il gruppo è soprattutto una risorsa. I gruppi, infatti, sono sempre molto piccoli e al loro interno si crea immediatamente una grande intimità e generatività.

Dal mio primo CIYO sono passati quasi dieci anni, sono entrata a far parte della sua faculty internazionale, con altre colleghe abbiamo tradotto il programma nella lingua e nella cultura italiana e oggi anche tutte la partner di Bottega Filosofica sono nella Global CIYO Faculty.  

La leadership di Bottega Filosofica è completamente femminile, sia perchè siamo tutte donne, sia perchè cerchiamo, anche alla luce della comune esperienza come partecipanti, prima, e come faculty CIYO, di porre quotidianamente attenzione ad esprimerci nella nostra autenticità come singole e come gruppo di donne.

Abbiamo scoperto insieme, e cerchiamo di valorizzarlo costantemente, che una leadership efficace è data dalla capacità di entrare consapevolmente nell'energia giusta per quella situazione specifica, dal saper 'danzare' con le altre in un'alternanza armonica di momenti nei quali una in particolare 'guida' le altre e momenti nei quali la stessa donna ne 'segue' l'altra che in quel momento guida. 

Abbiamo scoperto come condurre un processo creativo generativo e inclusivo nel quale ci sia scolto reciproco e spazio per i contributi di tutte e abbiamo imparato come tenere conversazioni anche 'difficili' tra noi esprimendo non solo i nostri punti di vista ma anche le emozioni che questi generano assumendocene la responsabilità orientate a trovare sempre, a 'generare' sempre insieme soluzioni win-win.

Non so se questo modo di vivere la leadership sia più accessibile alle donne, in realtà non mi interessa. Quello di cui faccio esperienza quotidianamente è che è possibile esercitare una leadership veramente condivisa, che è possibile e divertente lavorare insieme avendo a cuore il bene comune e l'armonia, che è possibile avere cura di sé e delle cose importanti della propria vita di cui il lavoro è una parte che partecipa del tutto, che le donne possono essere amiche delle donne e sostenersi a vicenda per fiorire insieme.

Finora più di 150 donne italiane hanno partecipato  ai programmi CIYO in italiano – che vengono svolti con diverse modalità -  e a ogni edizione ci restituiscono feedback che ne confermano il valore.

Qui (inserire link articolo blog da scrivere) puoi trovare una sintesi di quelli ricevuti nell’ultima edizione di febbraio scorso, la prima online. 


[1] Manuale di Epitteto, Introduzione a cura di P. Hadot, Einaudi, Torino 2006, pag. 9

[2] Moreno MONTANARI, La filosofia come cura, cit., pag . 52 e 54