Quella che vogliamo raccontarvi oggi è una storia di mentoring aziendale, che parla soprattutto di fiducia.
Il contesto
L'azienda è una multinazionale che offre servizi consulenziali ad alta specializzazione tecnica.
L'organizzazione è relativamente poco gerarchica e strutturata in business unit sufficientemente piccole da favorire relazioni dirette e conoscenza approfondita tra manager e collaboratori (10-15 persone per unità).
Il modello organizzativo è piuttosto ambiguo: professa collaborazione, co-costruzione e decisioni collegiali, ma poi favorisce una forte competizione inter e intra team con contest e premi di produzione molto significativi, agganciati a target altrettanto sfidanti. Da aggiungere che questa azienda prevede processi e procedure molto rigidi e strutturati che tendono a omologare stili e modalità di lavoro delle persone.
In questo contesto le individualità faticano a emergere, l'omologazione premia e il raggiungimento dei target è l'unico criterio di valutazione per garantirsi la permanenza ed eventualmente la crescita nell'organizzazione.
Ma, come spesso accade in realtà così rigidamente strutturate, ci sono persone che - senza stravolgere le regole – trovano il modo di onorare le consegne aziendali senza rinunciare ai propri valori e senza annullare la propria individualità.
Queste persone sono quelle che hanno permesso di sperimentare il mentoring che vi stiamo per raccontare.
L'antefatto
Alcuni anni fa, l'azienda ha registrato una forte espansione di mercato. Ciò richiedeva l'inserimento di un numero cospicuo di nuove e nuovi consulenti e - di conseguenza - di manager per coordinare il loro lavoro.
La procedura interna prevedeva che ogni neomanager dovesse sperimentare - prima di entrare in ruolo – almeno dodici mesi in consulenza. Dodici mesi per dimostrare di avere le competenze tecniche e consulenziali, di saper raggiungere i target, di avere la 'giusta ambizione' per vincere i contest.
Ma l'azienda, in quel momento di espansione, non poteva permettersi di aspettare un anno per crescere.
Da qui l'idea che ogni manager identificasse nel proprio team una o due persone, con ambizioni manageriali, da sviluppare nel ruolo in un periodo di tre - quattro mesi.
Sembrava la soluzione ottimale.
Le prime difficoltà sono emerse nella selezione delle persone, che dovevano avere ambizioni e attitudini manageriali e - contemporaneamente – grandi abilità consulenziali e focalizzazione ai risultati.
Le resistenze del management
La prima resistenza riguardava l'aspetto sopra descritto: favorire il passaggio di un(a) consulente del proprio team, significava rinunciare a una persona che contribuiva in modo importante al raggiungimento dei target del team e alla vittoria dei contest.
Prima obiezione: perché mai dovrei mettere a rischio i miei risultati solo per favorire l'ambizione di un collaboratore o di una collaboratrice?
Questa obiezione, ne conteneva altre, perlopiù inespresse. In particolare:
1. Mi si chiede un sacrificio in cambio di niente
2. Per sviluppare questa persona devo fare del lavoro in più che non mi viene retribuito
3. Se riesco a far diventare questa persona manager, avrò un(a) competitor in più nei contest e, siccome lavorava con me, conosce le mie 'armi segrete'.
Cosa bloccava davvero e come si è sbloccato il progetto
Senza il contributo attivo del management il progetto era bloccato e l'azienda stava perdendo opportunità di espansione. Del resto, obbligare il management avrebbe generato resistenze peggiori.
Dialogando, in stile coaching, con il management sono emerse le vere criticità:
- scarsa fiducia in sé come manager
- scarsa fiducia nella capacità dell'azienda di dimostrare gratitudine e valorizzare lo sforzo.
Le domande interiori che alcune persone si ponevano erano
“Se non dovessi riuscire a sviluppare neppure un(a) manager, cosa penserà di me l'azienda? E cosa penserà di me il mio team?”
“Se scegliessi la persona sbagliata, che ricadute avrebbe sulla mia immagine?”
“Se la persona che svilupperò si rivelasse più brava di me, cosa accadrebbe?"
È stato quindi necessario attivare una conversazione profonda e aperta tra manager e board dell'azienda, per ascoltare le istanze reciproche, accoglierle e - dove possibile - onorarle, e per rappresentare le rispettive visioni e prospettive per il futuro.
Non è stato un lavoro semplice: ha richiesto uno sforzo alle persone e ha posticipato di oltre un mese l'avvio del progetto.
Ma i risultati - sia quantitativi che qualitativi - hanno ampiamente ripagato l'organizzazione, anche - come beneficio secondario, solo perché non atteso - in termini di retention del management.