Quella precedente è stata una settimana molto ricca che in che mi ha visto andare da un incontro all’altro in ambienti diversi ma nei quali quello che è stato detto era, in qualche modo, reciprocamente molto risonante. E questa è decisamente una bella notizia.
Mi fa piacere, quindi, condividere, in maniera anche un po’ disordinata - stile ‘zibaldone’ - alcuni degli appunti che ho preso e dei pensieri che mi hanno suscitato i diversi incontri.
La Buona Impresa
Cominciamo da martedì, quando sono stata invitata dalla Fondazione Buon Lavoro a un incontro informale presso la Fondazione Achille Castiglioni, un luogo fantastico (in piazza Castello 27 a Milano), di grandissima ispirazione che consiglio di visitare se ne abbiate l'opportunità.
Ci siamo ritrovate e ritrovati, intorno a Michele e Nicoletta Alessi, in circa quindici persone provenienti da ambienti diversissimi e con profili molto vari, di impresa, di università, di grandi società di consulenza, di piccole società di consulenza e onorati della presenza di Vittorio Coda, il pioniere dell’insegnamento della strategia d’impresa in Italia.
Insieme ci siamo interrogati se il Paradigma della Buona Impresa - del quale più volte noi di Bottega Filosofica abbiamo parlato e al quale facciamo pieno riferimento - sia quello che serve all’impresa italiana in questo momento per evolvere.
E, giacché eravamo tutte e tutti d’accordo che lo fosse, come fare per per diffonderlo, per farlo conoscere e anche per per iniziare un lavoro comune che consenta di continuare a sperimentarlo per affermarlo nel mondo delle imprese.
Ci lavoreremo sopra ma intanto, io cosa mi sono portata a casa?
Insieme alle tante riflessioni condivise, la considerazione che l'approccio l'approccio del coaching organizzativo e della consulenza di processo - che vedono l’impresa sviluppare la propria trasformazione in autonomia e a partire da sé e il consulente come solo facilitatore e e consulente di metodo - è il più adatto per l’oggi.
É, infatti, uno sguardo che favorisce il vedere l'impresa come un intero, come un sistema vivente, un organismo.
Attraverso il coaching organizzativo, laddove l’intera impresa si fa coachee, questa ha modo di sviluppare consapevolezza di sé e si abilita a una trasformazione che è in grado di fare con le proprie risorse in maniera molto più autentica, efficace e duratura che non solo ricevendo dall’esterno il consiglio di qualcuno che dica che cosa si debba fare.
Come ogni persona, infatti, ogni azienda è unica e quindi va trattata come qualcosa di unico e di specifico, un sistema peculiare.
Inoltre, quando siamo davanti a problemi complessi non ci sono soluzioni semplici che possano essere applicate come ricette, ma ci sono solo soluzioni complesse.
Soluzioni complesse sono quelle che operano su diversi piani e che vanno cercate all'interno di quello specifico contesto, valorizzando tutte le risorse e le potenzialità che troviamo proprio lì e che dobbiamo saper cercare e far emergere.
La Beautiful Work Week 2024
Il giorno dopo, ho partecipato all’intera giornata di apertura della prima Beautiful Work Week, organizzata dai colleghi di Cocoon Pro e di Fattor Comune Società Benefit e ospitata presso Luiss Hub di Milano.
Una giornata di lavoro, di ascolto reciproco e interessato, nella quale ho colto aria fresca intorno a temi che rischiano spesso di essere un po’ triti.
Ho partecipato a un panel dal titolo “Dove sei quando sei al lavoro?” e devo dire che, sebbene fossimo persone molto diverse e provenienti da ambienti diversi, con culture diverse, insieme abbiamo articolato un unico discorso molto armonico. Come se ognuno, anche senza che ci fossimo conosciuti prima, avesse messo il suo pezzo così tanto risonante con quelli degli altri, da contribuire a far sembrare la conversazione un flusso senza soluzione di continuità. Una vera con-versazione.
Cosa mi sento di sottolineare tra gli appunti che ho scarabocchiato durante la giornata? Alcune cose interessanti come, ad esempio, che dobbiamo imparare a esercitare la muscolatura del coraggio e a valorizzare le scelte quotidiane.
Che l'allineamento necessario per fare le cose che servono oggi non è soltanto un tema interiore della singola persona, ma è anche allineamento interno dei singoli sistemi, che il project manager può essere utilizzato come ‘grimaldello’ per entrare nelle organizzazioni e stimolarne il cambiamento.
O ancora che quando ci sentiamo come un criceto nella ruota, forse dimentichiamo che possiamo trasformare la ruota, magari in un binario o in una scala, contrastando quelle che sono delle sfide depotenzianti.
É sempre cruciale, poi, ricordarsi che non possiamo fare tutto da soli, anche quando siamo impegnati nella cosa che ci appassiona di più. A questo proposito ho trovato utile la metafora del corpo umano – ricordate Menenio Agrippa? - per guardare a un sistema organizzativo come a un organismo. Tutti gli organi devono stare bene perché il corpo sia sano ma ognuno di essi contribuisce con il suo buon funzionamento al benessere di tutti gli altri.
E ancora una citazione, che anche io amo moltissimo, per ricordarci che dobbiamo saper cercare e usare gli interstizi. É un verso da una canzone di Leonard Cohen, straordinario cantautore canadese molto rimpianto “C’è una crepa in ogni cosa e da lì entra la luce”. Qualcuno ha ricordato anche i ‘tagli’ - i “concetto spaziale” - di Lucio Fontana possono essere vissuti come un invito a entrarci dentro, per guardare cosa c'è dall'altra parte. Che suggestione affascinante!
E dal secondo panel ecco qualche risposta alla domanda “Che cosa energizza e mobilita di più le persone?"
Certamente un intento che si riconosce come proprio, la speranza di vedere il frutto del proprio lavoro, l'avere voce.
Le persone vogliono avere voce, perché?
Ricordiamo l'espressione “voce in capitolo” (nella regola benedettina il capitolo era il consesso dei monaci di un monastero nel quale anche i più giovani avevano diritto di parola). Avere voce vuol dire avere potere, avere possibilità di dire di dire la propria, di contribuire attivamente a qualcosa a cui teniamo.
Perché questo accada, però, è necessario avere degli ambienti sani, percepiti come sicuri, in cui è possibile connettersi e comunicare liberamente e mostrarsi anche nella propria vulnerabilità.
Riconoscere anche il valore della percezione, delle emozioni e della necessità di cambiare le parole dell'organizzazione e quindi, magari, di cominciare a far girare le parole 'organismo vivente' per riferirsi alle organizzazioni.
Qualcuno ha detto, abbiamo bisogno di una ‘love strategy’, abbiamo bisogno di passare dalla constatazione che quel collega o quel capo non ci piace a chiederci “Quale può essere una strategia d'amore per lavorare comunque con quel collega o con quel capo?”
Mi è tornato in mente l'intervento di Daniel Siegel, importante psichiatra statunitense, al IDG Summit di Stoccolma dello scorso anno in cui disse che dobbiamo passare dal sé individuale – me - a qualcosa che è più del sé individuale, un sé anche collettivo, un ‘mwe’ e che il sé individuale e il sé collettivo, se ci pensiamo, sono la stessa cosa.
Ma allora “Che cosa possiamo fare per muovere, per accelerare il cammino delle organizzazioni rigenerative – ma anche della rigenerazione delle organizzazioni?”
Qualcuno ha detto, e sono completamente d’accordo, che dobbiamo partire da come l'azienda è posizionata. E dobbiamo trovare delle cose da copiare.
Se riguardo l'innovazione che si vuole portare o realizzare c’è già qualcosa su quel territorio o in quell'organizzazione dobbiamo costruire a partire da quello, collaborare e cercare sinergie.
Molto assonante con quanto si diceva il pomeriggio prima insieme alla Fondazione Buon Lavoro.
Ecco un'altra cosa che ritrovo negli appunti e che mi è sembrata molto, molto interessante: nel lavoro di domani dobbiamo provare a combinare macchine e persone per generare maggiore valore per tutti.
Quindi non è distribuendo più tecnologia che si sviluppa progresso. Il progresso emerge dai vantaggi della tecnologia, ma questo richiede ascolto.
E nel lavoro di domani bisognerà sviluppare anche la capacità di andare oltre il contratto, di pensare il lavoro come un patto che vede lavoratore e impresa compiere insieme un cammino di senso nel quale tutti si possono riconoscere.
Provare insieme a costruire un proposito di gruppo chiedendosi. “Che effetto voglio avere?” e “Che effetto vogliamo generare nel mondo attraverso il mio lavoro, attraverso il nostro lavoro?”
Onboarding Nature
Il pomeriggio successivo mi ha visto partecipare, in Triennale di Milano – altro luogo di grandissima ispirazione - , a una iniziativa organizzata da B Lab Italia nell'ambito del Festival de L’Economia del Futuro organizzato dal Corriere della Sera.
L’evento era stato organizzato per presentare alle e ai CEO delle B Corp italiane le opzioni, statutarie e di governance societaria, con le quali riconoscere anche formalmente la Natura come stakeholder nelle nostre imprese.
Sono stati presentati quattro gradi, potremmo dire, di ascolto della Natura, dal più general generico fino all'avere un preciso rappresentante della Natura in Consiglio di Amministrazione.
La proposta mi è sembrata di estremo interesse soprattutto, pensando alla sostenibilità non come a un imperativo ipotetico – la ricerco solo perché mi conviene – ma come un imperativo categorico (espressione del filosofo Immanuel Kant) che ci riguarda come Umanità. Se così è la Natura è certamente uno degli stakeholder da tenere in considerazione.
E non basta. Perché questo sia qualcosa di realmente vissuto dalle nostre imprese, bisogna che l'intera azienda senta un tale imperativo categorico, non basta che lo sentano soltanto i suoi vertici.
La Conference annuale di EMCC Italia
Negli ultimi due giorni della settimana ho partecipato appassionatamente, infine, alla Conference 2024 del European Mentoring and Coaching Council – Italia.
C’è stato il piacere di ritrovarsi e confrontarsi con tante colleghe e tanti colleghi con cui abbiamo cammini in comune o meno ma con i quali è sempre molto interessante, prezioso e generativo scambiare pensieri ed esperienze.
E c’è stata la ricchezza degli interventi anche di autorevoli membri della nostra community professionale globale. Tutti contributi molto nutrienti.
Il primo intervento, quello di Robin Shohet era incentrato sul valore della supervisione, una pratica sempre più auspicata e necessaria per un coaching e un mentoring di qualità elevata.
Nella supervisione, così come nel coaching più riflessivo, la prima finalità è quella di generare all'interno dei nostri interventi di coaching o di supervisione, uno spazio riflettere su ‘come pensiamo’, cioè su quali sono i pensieri che stanno 'sotto' i nostri comportamenti, che danno loro forma. E costruire uno spazio di in cui anche ogni domanda trovi il suo spazio e dove ci sia la possibilità di muoversi “inside and outside the box”, recuperando un luogo di libertà di pensiero e di azione per le persone, nel quale sia possibile anche sfidare le regole.
Una suggestione potente sulla funzione delle regole. Creano dei contesti sì, in parte, frustranti, ma da un'altra parte anche rassicuranti. Quindi perché meravigliarsi del fatto che all'interno delle nostre organizzazioni ci sia così poca propensione al rischio?
In fondo noi abbiamo creato delle regole e con queste abbiamo ottenuto proprio di abbassare il livello di attenzione sul rischio. È come se dicessimo “Ti do regole da seguire così non ti troverai a dover valutare da solo assumendotene la responsabilità”.
Sarà forse oggi il momento giusto per recuperare valore al rischio e per educare ad esso, sviluppando la capacità di riconoscerlo e di governarlo.
E a proposito dell'etica, ci ha detto Robin, che l'unica 'regola' etica da considerare è l'amore. Se agiamo dall'amore, non abbiamo bisogno di regole. L’esperienza ci mostra che le regole e le sanzioni non servono per assicurare un comportamento etico.
Ma non si tratta di creare l'amore – cosa impossibile -, quanto piuttosto di rimuovere gli ostacoli che lo impediscono.
Non si può creare l’amore ma si possono creare le condizioni affinché l'amore emerga. Questo è possibile quando siamo capaci di passare da un atteggiamento di paura e giudizio, nei confronti degli altri e dell'altro in genere, a un atteggiamento di curiosità e di amore.
Se passo, infatti, dalla paura alla curiosità e dal giudizio all'amore, smetto di stare sulla difensiva e non porto l'altra persona sulla difensiva.
Questo è completamente rivoluzionario e noi come coach e come persone, naturalmente all'interno dei diversi contesti, abbiamo una responsabilità su come pensiamo e abbiamo anche un impatto.
Quale tipo di pensiero contribuiamo a costruire nel mondo?
Il pensiero negativo, la paura, eccetera, possono essere considerati una forma di inquinamento.
Noi possiamo contribuire a costruire un’ecologia, possiamo contribuire a combattere questo inquinamento riconoscendo che abbiamo un'influenza, che abbiamo un impatto e quindi abbiamo anche una responsabilità.
Chiudo con gli appunti che ho preso a margine dell’intervento di Natale Brescianini che ci invitava a chiederci come ripensare la realtà. Come come ritrovare i fondamenti della realtà e quindi anche come affrontare tutta la tecnologia in cui siamo immersi.
Non è sufficiente sfoderare uno slogan ormai trito, quello di “mettere le persone al centro”. Forse piuttosto che mettere le persone al centro abbiamo abbiamo bisogno di aiutare le persone a "essere centrate" e quindi a chiedersi “Che cosa ci rende veramente umano?”
E un’ultima cosa mi ha colpito dell’intervento di Natale: più che di formazione l'essere umano ha bisogno di riti di iniziazione. E per questo c'è bisogno di disciplina.
Noi però, nel tempo abbiamo sostituito i sistemi disciplinari con i sistemi di controllo che spesso sono basati sulla mancanza di fiducia. La finalità di un sistema disciplinare era esattamente l'opposto. Ovvero: poiché riconosco che hai delle capacità, ti offro un sistema per svilupparle maggiormente.
Viceversa il sistema di controllo è costituito sull’assunto che, poiché tu da solo non ce la puoi fare, allora ti do un recinto in cui stare per non sbagliare.
Per concludere
La settimana che ho ripercorso è stato un meraviglioso viaggio che l’Universo ha apparecchiato magicamente per me, incastrando tutte le date così da non farmi perdere niente.
Un viaggio da cui esco rinfrancata e con la convinzione che il mondo si stia davvero muovendo. Lentamente, forse troppo lentamente, ma tanti elementi diversi nella stessa direzione.
Forse vale la pensa di adoperarsi per costruire ponti e consentire a questa variegata comunità in pectore, che si fa le stesse domande e manifesta intenti così simili, di diventare finalmente massa critica e cambiare il nostro modo di stare al mondo.
Per noi di Bottega filosofica è motivo di un rinnovato impegno nel promuovere e facilitare azioni rigenerative.