L'impresa sostenibile alle prese con utile e inutile

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Riflettere sull’utile senza considerare l’inutile rischia di offrire una visione parziale e riduttiva del fare impresa. Allo stesso modo, liquidare l’inutile come semplice scarto senza comprenderne il ruolo può condurre a perdere elementi fondamentali di creatività, innovazione e umanità.

È nella dialettica tra utile e inutile che si apre uno spazio fecondo di riflessione critica e trasformazione.

L’utile, inteso in senso ampio, non è solo ciò che produce profitto o valore immediato, ma anche ciò che contribuisce a costruire relazioni, senso e sostenibilità.

L’inutile, invece, non è solo spreco o inefficienza, ma può essere anche fonte di libertà, pausa e rigenerazione, elementi indispensabili per un’organizzazione viva e innovativa.

Il termine 'utile' deriva dal latino utilis, 'che può servire'. Una radice che, pur richiamando immediatezza, concretezza e funzione, lascia aperte tante possibilità.

Ma, se ci soffermiamo a riflettere, ci accorgiamo che la nostra idea di utilità è spesso ridotta a un significato strettamente economico o operativo: utile è ciò che produce un risultato misurabile, ciò che 'serve' a uno scopo predefinito.

Nel linguaggio quotidiano del business, la parola utile viene spesso interpretata in modo univoco: profitto, differenza tra ricavi e costi, saldo positivo di bilanci e conti economici. È il segnale che l’azienda funziona e crea valore per gli azionisti.

Nel pensiero economico tradizionale, questo basta: la “mano invisibile” del mercato, come affermava Adam Smith, dovrebbe garantire che perseguendo il proprio interesse l’impresa contribuisca comunque al bene collettivo.

Questa visione, rafforzata da autori come Milton Friedman (premio Nobel per l’economia nel 1976), che vedeva nella massimizzazione del profitto l’unica responsabilità sociale dell’impresa, ha dominato per decenni – e, in parte, domina ancora.

Negli ultimi anni, però, questa idea si è incrinata. La crisi climatica, le disuguaglianze sociali e la crescente consapevolezza dei limiti del pianeta hanno spinto molte aziende a interrogarsi: che cos’è davvero il valore? E cosa è utile? E per chi?

La riduzione proposta da Friedman rischia di oscurare la complessità e la ricchezza del concetto di utile, che nel contesto aziendale si declina in molteplici accezioni e si intreccia con dimensioni etiche, sociali e strategiche.

Anche il termine 'inutile', d'altra parte, è vittima di un pensiero riduzionista. Viene, infatti, quasi sempre percepito come un semplice scarto, qualcosa da eliminare senza ulteriori riflessioni.

Ma che cosa significa davvero 'inutile' in un’organizzazione? E come si possono mettere in dialogo il concetto di utile con quello di inutile per generare una riflessione critica e feconda sul modo di fare business oggi?

L’utile nel business: oltre il profitto

Nel senso più immediato, come abbiamo già visto, l’utile è il risultato economico positivo che un’azienda produce, misurato attraverso indicatori contabili come utile lordo, operativo o netto. Questa dimensione è fondamentale perché garantisce la sopravvivenza e la crescita dell’impresa, consentendo investimenti, remunerazioni e sviluppo.

Tuttavia, ridurre tutto il valore prodotto da un’organizzazione a una cifra di bilancio rischia di impoverire la nostra visione.

L’utile contabile è necessario, ma non sufficiente.

Può accadere che un’azienda sia "in utile" dal punto di vista finanziario, ma stia producendo effetti negativi o trascurabili per la società, l’ambiente o persino per i propri dipendenti.

Utile come valore per l’altro: la dimensione relazionale

Esiste una seconda accezione di utile, più ampia e profonda: l’utile come valore creato anche per l’altro.

Un’azienda è pienamente "utile" quando risponde a bisogni autentici delle persone, migliora la qualità della vita dei clienti e crea benessere per la comunità in cui opera.

In questa prospettiva, l’utile non è solo un risultato economico, ma una virtù: la capacità di prendersi cura di sé e degli altri attraverso il proprio lavoro. Come suggerisce Salvatore Natoli, 'utile' non è ciò che serve semplicemente a noi stessi, ma ciò che contribuisce a costruire relazioni di senso, fiducia e reciprocità.

L’utile, allora, può essere inteso come valore generato per diversi stakeholder: clienti soddisfatti, dipendenti motivati, azionisti che vedono i loro investimenti ben remunerati, comunità locali coinvolte, ambiente tutelato. L’azienda diventa così un attore che contribuisce al benessere collettivo, non solo un’entità votata al profitto.

Pensiamo alle aziende che hanno scelto di ridefinire il proprio utile in chiave etica o sociale: imprese che investono in sostenibilità ambientale, inclusione e innovazione responsabile. Il loro utile va oltre il profitto: diventa generazione di valore condiviso.

Infine, esiste un 'utile strategico', che riguarda ciò che effettivamente contribuisce alla crescita sostenibile e alla resilienza dell’organizzazione nel lungo termine. Spesso, invece, molte attività aziendali producono numeri o “fanno qualcosa”, ma non creano valore reale e duraturo.

Distinguere tra ciò che è utile in senso strategico e ciò che lo è solo nel breve periodo o solo apparentemente, è una sfida cruciale per manager e filosofi del business.

Le società benefit e le B Corp sono impegnate, pubblicamente, a incarnare questa tensione verso un “utile allargato e di lungo periodo”, che non si esaurisce nella rendicontazione economica ma si estende all’impatto sociale e ambientale dell’azienda e alla sua capacità di continuare ad averlo nel tempo. Così, una decisione aziendale può essere considerata “utile” se contribuisce a creare coesione sociale, rigenerare un territorio, ispirare nuove forme di collaborazione in maniera durevole.

L’inutile nel business: un tema spesso trascurato

Nel contesto aziendale, l’inutile viene generalmente associato a sprechi, inefficienze o attività superflue da eliminare. Tuttavia, la questione è più complessa.

Esiste un 'inutile' che è davvero dannoso: processi mantenuti solo per abitudine, report prodotti senza essere letti, riunioni che non portano a decisioni, sovrapposizioni di ruoli e responsabilità.

Questi elementi non solo consumano risorse, ma possono generare frustrazione e ostacolare l’innovazione.

In un’epoca di consumismo esasperato, inoltre, non è raro imbattersi in prodotti e servizi che, pur generando profitto, sono in realtà inutili dal punto di vista del benessere collettivo.

È quello che Natoli definisce “ciò che asserve”: ciò che ci rende dipendenti, insoddisfatti, alienati.

L’inutile, quindi, può essere dannoso per il business non solo economicamente, ma anche eticamente e socialmente, perché contribuisce alla perdita di senso del lavoro e della vita.

Camus, evocando il mito di Sisifo, ci ricorda che la vera punizione non è la fatica, ma l’assenza di senso. Un’attività può essere profittevole, ma se priva di significato rischia di diventare una forma di alienazione.

L'inutile che ci salva

Eppure, alcune attività apparentemente inutili possono nascondere funzioni relazionali o culturali importanti, che non si traducono immediatamente in risultati misurabili. La filosofia ci insegna che l’inutile non è sempre e solo negativo.

Esistono forme di inutile che sono, paradossalmente, fondamentali per l’innovazione, la creatività e il benessere organizzativo.

Pensiamo al tempo “inutile” dedicato alla riflessione, alla pausa, al gioco, alla sperimentazione: spesso è proprio lì che nascono le idee più feconde e le intuizioni più rivoluzionarie.

Attività bollate come "inutili” perché non generano fatturato o ritorni economici immediati, nutrono la nostra umanità più profonda.

Byung-Chul Han, importante filosofo contemporaneo, ad esempio, ci ricorda che l’ossessione per la produttività impoverisce la vita interiore e ci priva di quelle pause necessarie alla generazione di idee.

Umberto Galimberti, tra gli altri, sottolinea come il gioco, apparentemente inutile, sia ciò che ci mantiene vivi, curiosi e aperti al possibile.

Così, la contemplazione, l’arte, il tempo vuoto possono diventare “utili” proprio perché non subordinati a uno scopo immediato. Sono questi spazi a dare respiro al pensiero, a stimolare intuizioni e a far nascere connessioni inedite.

E c'è ancora un "inutile", che è segno di maturità, fiducia e capacità di delega. Ci riferiamo a quando l’imprenditore maturo - o il manager evoluto - col tempo, cerca di “rendersi inutile” rispetto all’operatività quotidiana, lasciando spazio all’autonomia e alla crescita delle persone e dell’organizzazione.

Un esempio che ci è caro: riflessione filosofica e sostenibilità aziendale

"Qui non facciamo filosofia...", quante volte lo abbiamo sentito dire noi di Bottega Filosofica, prima di poter essere ammesse a "fare" filosofia! 

Perché la riflessione filosofica, essa stessa spesso considerata "inutile", può influenzare profondamente le strategie di sostenibilità aziendale, offrendo prospettive critiche che spingono a riconsiderare le pratiche e i modelli di business in chiave più consapevole e responsabile. Eccone alcuni esempi.

Efficienza e “inutile” nascosto

La filosofia invita a distinguere tra ciò che è realmente utile e ciò che è solo apparentemente tale o addirittura inutile, come processi, abitudini o prodotti che consumano risorse senza generare valore reale.

Questo approccio si integra perfettamente con la sostenibilità, che mira a ridurre sprechi e inefficienze, promuovendo un uso più responsabile delle risorse.

Adottare una visione filosofica critica aiuta le aziende a non limitarsi a ottimizzare l’esistente, ma a mettere in discussione ciò che va eliminato o trasformato, generando così processi più efficienti e meno impattanti.

Valore intrinseco ed etica del consumo

La filosofia ecologica e morale sottolineano il valore intrinseco della natura e la necessità di preservare la biodiversità e invitano ad andare oltre una visione utilitaristica riduttiva.

Un richiamo alle aziende a integrare nella loro strategia non solo obiettivi economici, ma anche ecologici, etici e sociali, promuovendo prodotti e servizi che rispondano a bisogni autentici e sostenibili, evitando la produzione e la promozione di beni inutili, superflui o dannosi.

Responsabilità e cittadinanza d’impresa

Il pensiero filosofico sulla responsabilità e la cittadinanza d’impresa spinge le aziende a considerare il loro ruolo nella società in modo più ampio, includendo la tutela dell’ambiente e il rispetto dei diritti umani lungo tutta la filiera.

Questa consapevolezza si traduce in strategie di sostenibilità che non sono solo obblighi normativi, ma veri e propri impegni etici, capaci di generare fiducia e valore condiviso.

Innovazione sostenibile 

La riflessione sull’inutile stimola l’innovazione, spingendo le imprese a ripensare prodotti, processi e modelli di business per eliminare ciò che è superfluo e valorizzare ciò che è realmente necessario e sostenibile.

Questo favorisce l’adozione di tecnologie e pratiche che riducono l’impatto ambientale, migliorano l’efficienza e rafforzano la competitività a lungo termine.

Benefici economici e reputazionali

Questa visione filosofica e critica dell’utile e dell’inutile si traduce in vantaggi concreti: riduzione dei costi attraverso la minimizzazione degli sprechi, miglioramento dell’immagine e della reputazione, maggiore attrattività per clienti e persone sensibili ai temi della sostenibilità, e migliore preparazione a rispondere alle normative sempre più stringenti.

La dialettica utile-inutile come strumento di riflessione critica

Mettere a tema la relazione tra utile e inutile,allora, significa aprire uno spazio di riflessione sulle pratiche aziendali.

Alcune domande fondamentali possono guidare questo processo:

Come distinguere l’utile autentico dall’inutile travestito da essenziale?

Cosa significa davvero, per la mia organizzazione, essere utile?

Questa attività è davvero utile? A chi serve? Produce valore reale o solo occupa tempo e risorse?

Qual è il confine tra ciò che è necessario e ciò che è superfluo?

Quali criteri adottare per valutare l’impatto reale di ciò che produciamo e vendiamo?

Come trasformare l’inutile in occasione di innovazione e crescita?

Quale “inutile” dobbiamo preservare per non perdere la nostra anima?

Quali spazi di gratuità e contemplazione possiamo difendere, anche nei contesti più orientati al risultato?

Le risposte stanno nella capacità di ascoltare, di interrogarsi, di non accontentarsi dello status quo e delle definizioni scontate.

Questa dialettica invita a non accettare passivamente le pratiche consolidate, ma a metterle in discussione, a sperimentare, a riorientare le energie verso ciò che conta davvero.

Verso un nuovo significato di utile nel business contemporaneo

Non si tratta di rinunciare al profitto, ma l’utile non può più essere solo un indicatore economico, deve essere integrato in una visione più ampia che tenga conto del senso, della sostenibilità e del valore condiviso.

Un’azienda che genera utile in questo senso è capace di coniugare successo economico con responsabilità ambientale e benessere delle persone. In questo orizzonte, l’utile diventa un concetto dinamico, che si costruisce nel dialogo tra diversi interessi e valori e che richiede una pratica continua di riflessione e revisione.

Riflettere sull’utile e sull’inutile nel business, apre spazi di consapevolezza e libertà per costruire un modo di fare impresa che sia non solo efficiente, ma anche significativo e sostenibile.

Se il nostro unico metro di valutazione resta il risultato economico, rischiamo di ridurre la ricchezza della vita organizzativa a un algoritmo sterile. Se invece allarghiamo lo sguardo, possiamo immaginare un utile che include la salute delle relazioni, la bellezza dei processi, il benessere emotivo e collettivo.

L’utile come valore integrato nei criteri ESG

Anche i criteri ESG (ambientali, sociali e di governance), che oggi sempre più orientano i mercati di capitali, ampliano la nozione di utile includendo la sostenibilità ambientale, il benessere sociale e la trasparenza gestionale. Anche in questo caso, l’utile non è solo ciò che resta dopo i costi, ma ciò che contribuisce a un impatto positivo e duraturo, misurabile attraverso obiettivi chiari e condivisi.

Il criterio fondamentale per valutare un'azienda e le sue scelte non è più solo il profitto economico, ma la generazione di valore sostenibile e responsabile per tutti gli stakeholder. Questo approccio si fonda sulla consapevolezza che l’azienda non opera in un vuoto, ma in un contesto sociale, ambientale e di governance che richiede equilibrio e rispetto.

L’utile come leva di competitività

Un’azienda che integra l’utile con criteri etici costruisce un vantaggio competitivo duraturo, basato sulla fiducia, sulla reputazione e sulla capacità di attrarre clienti, investitori e talenti sensibili a questi valori.

In questo senso, l’utile non è in contraddizione con il successo economico, ma ne è una condizione.

Un approccio integrale: unire profitto e responsabilità

Valutare le scelte aziendali secondo un criterio di utile integrale significa unire la dimensione economica con quella morale, superando la dicotomia tra profitto e valori. Come sottolineato da Keynes e da molti pensatori contemporanei, l’uomo e l’azienda non sono meri strumenti di produzione, ma soggetti con responsabilità verso la società e l’ambiente.

Dal punto di vista filosofico ed etico, quindi, l’utile si collega al concetto di bene comune promuovendo condizioni di lavoro dignitose e rispetto dei diritti umani, e tutelando l’ambiente.

Conclusione: l’integrazione tra utile e inutile come chiave di senso 

Integrare utile e inutile significa quindi riconoscere che il valore autentico nasce dall’equilibrio tra azione e riflessione, tra produttività e gratuità, tra risultato e significato. Solo così il business può trasformarsi da mera macchina economica a luogo di responsabilità, creatività e crescita condivisa.

Questo rinnovato senso attribuito all'utile diventa criterio strategico per le scelte aziendali, capace di guidare verso un modello di impresa che non si limita a giudicare il successo dal profitto, ma che considera successo la capacità di generare valore duraturo per l'impresa stessa, per le persone, la società e il pianeta.