Mettere la cura al centro

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La 'cura' è una presenza costante e pervasiva nella nostra esistenza anche se raramente ne siamo pienamente consapevoli.

Se però riflettiamo su alcuni caratteri costitutivi della condizione umana – vulnerabilità, fragilità, relazionalità, interdipendenza - è facile riconoscerne la centralità.

Ancora di più oggi, quando il nostro presente è caratterizzato dal manifestarsi di ‘patologie sociali’.

È sempre più evidente all’Umanità che c’è qualcosa che non funziona.

Le cosiddette promesse della modernità, che erano anche promesse di felicità, di benessere, di collaborazione, di democrazia, non sono realizzate o sono state, in qualche modo, tradite. Siamo in tempo di crisi di tutti i tipi: ecologica, finanziaria, personale.

Di fronte a questo siamo tutti egualmente fragili, magari in dosi diverse e bisognosi di cura.

Non solo, ciascuno di noi, se ci pensiamo, è divenuto ciò che è solo attraverso un percorso che lo ha visto soggetto/oggetto di cura o di una sua mancanza.

Dalla nascita fino all’età adulta, infatti, siamo prevalentemente destinatari di cura da parte di altri, nel pieno della vita continuiamo ad esserlo ma siamo anche protagonisti attivi di cura nei confronti di altri, nella vecchia torniamo a desiderare più cura di quanta, spesso, riusciamo a darne.

Nella parola ‘cura’ risuonano almeno tre valenze: quella della terapia, l’aspetto medico, quella del prendersi cura e quella che fa riferimento alla attenzione e alla precisione.

La cura, nelle sue diverse accezioni spesso contemporaneamente presenti, ci riguarda molto da vicino e sempre, non solo durante e dopo una malattia, dalle cose più piccole a quelle più grandi. Come sottolineava già Orazio, il poeta latino, “La cura è compagna permanente dell’uomo”.

Possiamo concordare con Luigina Mortari - filosofa italiana contemporanea – quando scrive "L'essere umano viene al mondo mancante di forma e la forma che nel tempo assume l'esserci è opera della cura in quanto ognuno di noi è il risultato di quello che fa e di quello di cui si prende cura”.

Ma facciamo, come sempre, un rapido volo attraverso la riflessione umana come si è depositata nei secoli.

La cura nel pensiero occidentale  

Il nostro viaggio comincia dal mito di Crono, il Dio greco che si prende cura degli umani. Quando finisce il suo lavoro e si ritira, gli esseri umani si ritrovano privati dalla cura divina, abbandonati a loro stessi e nella condizione di dover avere cura di sé da soli.
Da allora, fin da quando veniamo al mondo dobbiamo prenderci carico di un compito che coincide con l’esistenza stessa, quello della cura, di noi e degli altri: l’esistenza è cura.
Prendersi cura degli altri vuol dire sentire la responsabilità non solo dell’esistenza propria ma anche di quella degli altri.

Nella Grecia antica, la cura (epimeleia) era considerata essenziale per il buon funzionamento della polis e per la realizzazione personale.

Per Socrate, la cura di sé (epimeleia heautou) era la massima espressione di saggezza; un impegno attivo verso la conoscenza di sé e il miglioramento morale.

Gli stoici, con la loro enfasi sulla virtù e sull'autocontrollo, videro nella cura di sé una pratica quotidiana di allineamento con la ragione universale (logos). Seneca, Epitteto e Marco Aurelio trattarono la cura di sé come un dovere etico, una maniera di vivere in armonia con il mondo e di mantenere l'equanimità di fronte agli alti e bassi della vita.

Con il cristianesimo, il concetto di cura assunse una nuova dimensione, collegandosi all'agape, l'amore disinteressato verso il prossimo. Agostino di Ippona parlava della cura come espressione dell'amore di Dio verso l'umanità, invitando i Cristiani a prendersi cura gli uni degli altri seguendo l'esempio divino.

Nel XX secolo, la cura è stata al centro del pensiero esistenzialista, con Martin Heidegger che, in "Essere e tempo", ne fece il fulcro della sua analisi dell'esistenza umana.

Per Heidegger, la cura (sorge) è la struttura fondamentale dell'essere-nel-mondo, un modo di essere che precede ogni altra determinazione dell'esistenza umana. L'uomo è essenzialmente un "essere-per-la-cura", costantemente proiettato verso il futuro e impegnato nella propria esistenza.

Sigmund Freud, padre della psicoanalisi, pur non essendo un filosofo nel senso stretto del termine, contribuì significativamente al discorso sulla cura, interpretandola come ascolto e comprensione dell'inconscio. La cura, in questo contesto, diventa un mezzo per liberarsi dalle catene dei traumi passati e per vivere una vita più autentica.

Nel secondo ‘900, Michel Foucault riscoprì la nozione di "cura di sé" degli antichi come pratica di libertà e resistenza. Per Foucault, prendersi cura di sé significa lavorare sull'autoformazione, un processo continuo di riflessione e azione che permette all'individuo di diventare soggetto della propria vita.

La cura nelle filosofie orientali

Anche nelle filosofie orientali, il concetto di cura è centrale, come è facile intuire riconoscendo sempre presente un approccio olistico che abbraccia corpo, mente e spirito e che pone l'accento sull'interconnessione tra l'individuo e il mondo che lo circonda.

Nel Confucianesimo la cura si manifesta nella coltivazione di relazioni armoniose all'interno della famiglia e della società, basate sul rispetto reciproco e sulla benevolenza.

La finalità del Taoismo è vivere in armonia con il Tao, la forza cosmica che permea l'universo. La cura si traduce nel seguire il flusso naturale della vita, senza forzature né artifici.

Per il Buddismo la sofferenza deriva dall'attaccamento al sé e ai desideri illusori. La cura consiste nel liberarsi da queste illusioni attraverso la meditazione e la pratica della compassione.

Anche nell'Induismo la cura è un concetto olistico che abbraccia corpo, mente e spirito. Si manifesta attraverso azioni concrete di servizio, rispetto e compassione verso tutti gli esseri viventi, nella consapevolezza che la cura del sé è intrinsecamente legata alla cura del mondo.

La cura come postura esistenziale

La storia del Pensiero ci porta ‘naturalmente’ a guardare alla cura come a una postura esistenziale, un modo di essere, un atteggiamento fondamentale che colora ogni nostro pensiero, decisione e relazione. Questa prospettiva invita a una riflessione più profonda sul significato della cura non solo come dovere o responsabilità ma come espressione autentica dell'essere.

La postura esistenziale della cura implica un'apertura verso l'altro e verso l'ambiente, una predisposizione all'empatia e alla compassione, al fornire aiuto e sostegno. E, più profondamente, suggerisce un modo di essere nel mondo che riconosce l'interdipendenza di tutte le forme di vita e l'importanza di ogni azione, pensiero e parola.

Ogni gesto di cura è, quindi, un filo che intesse la tela della nostra comune umanità e del nostro essere con il mondo.

Adottare la cura come postura esistenziale significa vivere con una consapevolezza acuta della fragilità e del valore intrinseco di tutto ciò che ci circonda.

Significa riconoscere che ogni interazione ha il potenziale per nutrire o danneggiare, per costruire o distruggere. Questo richiede un impegno costante di ascolto, di presenza attenta, di scelte consapevoli che rispettino la dignità di ogni essere.

In questo senso, la cura diventa un ethos, un principio guida che informa non solo le nostre azioni ma il nostro stesso modo di percepire e interpretare il mondo. È un invito a muoversi attraverso la vita con una sorta di grazia consapevole, un riconoscimento che siamo tutti tessitori della stessa trama e custodi l'uno dell'altro.

La Cura e l'Etica Relazionale

La cura come postura esistenziale porta con sé un'etica relazionale profonda. Questa etica si basa sul riconoscimento della reciprocità e della mutualità in tutte le nostre relazioni, sia con altri esseri umani sia con il mondo naturale. Sfida la visione tradizionale dell'autonomia come isolamento, proponendo invece un concetto di autonomia intrecciata, dove la libertà personale si realizza nel contesto di relazioni curanti e supportanti.

Adottare la cura come una postura esistenziale richiede un costante lavoro su di sé, la capacità di mettersi in discussione, di ascoltare e di cambiare.

Come scrive Luigina Mortari, questa visione richiama la necessità di una presenza consapevole e intenzionale, che riconosce l'importanza di ogni momento e di ogni incontro con l'altro.

La cura, in questo senso, diventa una qualità dell'esserci, un modo per approcciare la vita con gentilezza, attenzione e responsabilità.

È necessario, quindi, integrare la cura nelle pratiche quotidiane. Essa, dovrebbe permeare ogni azione, dalla più semplice alla più complessa, influenzando le nostre decisioni, i nostri rapporti e il nostro approccio ai problemi.

Questo richiede un cambiamento di prospettiva, un passaggio da un'etica del fare a un'etica dell'essere, dove la qualità della nostra presenza nel momento attuale - nel qui ed ora - diventa la misura del nostro agire. E le posture cognitive da coltivare sono il “dare attenzione” al momento che si vive, il “fare silenzio interiore” o il “concedersi del tempo”.

Dare una buona forma alla propria vita transita dalla ricerca dell’essenziale in un processo di autoanalisi che ci riconduce al precetto socratico del “conosci te stesso”. La conoscenza di sé, però diventa mezzo e non più fine: perché da qui è necessario aprirsi al mondo, dialogare, stare nella realtà per confrontarsi con più saperi.

Portando a una maggiore connessione e comprensione tra individui, a società più coese e compassionevoli, e a un rapporto più sostenibile e rispettoso con il nostro pianeta, questo approccio mostra immense potenzialità.

La cura del Mondo

Nel suo  “La cura del mondo”, Elena Pulcini – filosofa italiana recentemente scomparsa – definisce una delle patologie del presente come “individualismo illimitato” e la articola in due figure emblematiche: quella dell’individuo consumatore e quella dell’individuo spettatore che si presentano come una sorta di Giano bifronte.

Dal momento che il consumo ha invaso e colonizzato tutte le sfere della vita, consumiamo politica, consumiamo spettacolo, sport, cultura, persino le relazioni intime.

L’individuo consumatore simboleggia una attitudine consumistica a tutto campo, che lo rende essenzialmente passivo e anzi addirittura parassitario, teso ad acquisire, succhiare, accumulare anche il superfluo nelle proprie case come nella propria vita.

L’altra faccia, compresente con questa, è quella che Pulcini chiama l’individuo spettatore. Un fenomeno non nuovo, ma che oggi assume nuove valenze. Noi non partecipiamo più – nel senso stretto del termine di ‘essere partecipi’ - agli eventi, in gran misura perché gli eventi ci sovrastano.

Abbiamo di fronte oggi delle sfide impensabili ancora pochi anni fa, rischi globali come il riscaldamento del pianeta, le pandemie, le crisi geopolitiche e tutti i fenomeni correlati. Rischi che la nostra psiche non è in grado di contemplare. 

Sono rischi che mettono in forse addirittura la sopravvivenza del genere umano, e noi non siamo in grado di percepirlo pienamente perché è qualcosa di troppo grande e troppo nuovo e dobbiamo ancora affinare gli strumenti per comprenderlo. Per questo restiamo spettatori muti e attoniti.

Ma siamo spettatori anche a livelli meno drammatici: abbiamo una sorta di apatia rispetto alla sfera pubblica, agli eventi collettivi, siamo spettatori del mondo, dalle piccole alle grandi cose. Basti pensare alla generale indifferenza quotidiana rispetto ad eventi di sofferenza e di emarginazione.

Come osserva acutamente Pulcini, soffriamo di una erosione sempre più ampia della sfera pubblica e della partecipazione collettiva che si traducono in quella che può essere indicata come una "perdita del futuro". Non siamo più capaci di investire le nostre energie, le nostre passioni, in qualche cosa che vada al di là del nostro immediato presente.

Sempre Pulcini cita un filosofo del ‘900 poco noto, Gunther Anders, marito di Hannah Arendt, che diceva che “noi sappiamo quel che succede ma non sentiamo”. C’è uno scollamento tra la sfera cognitiva e la sfera emotiva, perché mettiamo in atto dei meccanismi di difesa. Quindi non abbiamo davvero paura.

Se avessimo paura ci mobiliteremmo non domani, ma stasera, se fossimo consapevoli ed emotivamente partecipi di quello che ci sta succedendo. Siamo angosciati, preoccupati, ansiosi, presi da momenti di panico ma non proviamo quella ‘sana’ paura che ci fa vedere il pericolo e riconoscerlo per mobilitarci contro.

La conseguenza più grave di questo è una atrofia dell’immaginazione: poiché non sentiamo gli eventi, non partecipiamo, non riusciamo ad immaginare il futuro, a vedere le conseguenze di questi eventi, del nostro agire senza limiti, senza porre ad esso delle limitazioni.

L’immaginazione oggi diventa una facoltà di grandissima importanza in un doppio senso: riuscire a immaginare la catastrofe e nello stesso tempo essere capaci di immaginare scenari alternativi.

Quale mondo riusciamo ad immaginare? Quale mondo vogliamo costruire?

Dobbiamo metterci nella prospettiva di dirci ”questo mi riguarda”. “I care” diceva Don Lorenzo Milani.  Vuol dire assumersi la responsabilità, prendersi cura.

La cura è, forse, il più potente atto di resistenza contro l'indifferenza e il disimpegno che caratterizzano molti aspetti della vita contemporanea, un promemoria che, nel cuore dell'esistenza, c'è sempre spazio per la cura.

Il "Manifesto della Cura: Per una Politica dell'Interdipendenza" del The Care Collective

Nel 2021, il collettivo The Care Collective ha pubblicato un'opera rivoluzionaria, "Manifesto della Cura: Per una Politica dell'Interdipendenza", che invita a una riflessione profonda e urgente sulla centralità della cura nelle nostre società.

Questo volume non solo sfida ma anche re-immagina le basi su cui costruire il futuro, proponendo la cura come principio fondamentale per ristrutturare le politiche, le economie e le relazioni sociali.

In un mondo segnato da crisi ambientali, disuguaglianze crescenti e una pandemia globale che ha messo a nudo le fragilità dei nostri sistemi, il Manifesto è emerso come un faro di speranza e una guida per l'azione.

In esso viene condotta una critica penetrante dell'ordine socio-economico attuale, caratterizzato da un capitalismo predatorio che svaluta sistematicamente la cura e tutto ciò che riguarda la sfera del mantenimento della vita.

Attraverso una narrazione coinvolgente e argomentazioni convincenti, il Manifesto sottolinea come la negligenza nei confronti della cura abbia portato a una crisi multidimensionale: ecologica, economica, sanitaria e sociale.

L’etica della cura universale viene proposta dagli autori come l’antidoto alla spirale di incuria che il sistema attuale mostra di avere per le persone e il pianeta.

La cura è una pratica, un valore fondamentale e un principio organizzativo sulla base del quale possono e devono sorgere nuove politiche.

L'innovazione del Manifesto risiede nella sua capacità di collegare le sfide apparentemente disparate del nostro tempo sotto l'ombrello universale della cura, proponendo un cambiamento radicale di paradigma, dove la cura diventa l'asse portante delle politiche pubbliche, dell'economia, del lavoro e delle relazioni interpersonali.

Il Manifesto va oltre la semplice valorizzazione del lavoro di cura, spingendo per un riconoscimento dell'interdipendenza come condizione umana fondamentale, una  visione contrapposta a quella tipica del pensiero neoliberale che glorifica l'individuo autonomo e auto-sufficiente.

Il "Manifesto della Cura", quindi, non si limita a diagnosticare i mali della nostra epoca; offre anche una visione propositiva e praticabile di come potremmo riorganizzare la società attorno al principio della cura.

Questo include proposte concrete per politiche che vanno da sanità universale e istruzione, fino al sostegno per l'infanzia e l'assistenza agli anziani, nonché all'adozione di economie circolari che rispettino i limiti del nostro pianeta.

Inoltre, il Manifesto enfatizza l'importanza di coltivare una cultura della cura, che valorizzi l'empatia, la cooperazione e la solidarietà.

Questo implica un cambiamento nei valori individuali e collettivi tale per cui il successo è misurato non in termini di accumulazione materiale, ma in termini di benessere condiviso e qualità della vita e delle relazioni.

Il "Manifesto della Cura" del The Care Collective è un appello potente e tempestivo all'azione.

Il suo messaggio è chiaro: per affrontare le crisi interconnesse del nostro tempo, dobbiamo mettere la cura al centro della vita sociale ed economica.

L'impatto del Manifesto si estende oltre il discorso accademico, tocca la vita quotidiana e le scelte politiche.

Invita ognuno di noi a riflettere sul proprio ruolo nell'ecosistema della cura e a considerare come possiamo, collettivamente e individualmente, contribuire a una società che pone al primo posto il benessere di tutti i suoi membri e dell'ambiente che ci sostiene ponendo le basi per un futuro più equo e compassionevole.