L’Inner Development Goal al quale in questo mese dedichiamo la nostra esplorazione è Empatia e Compassione. Nel framework degli IDG si trova nell’area del Relazionarsi – prendersi cura degli altri e del mondo, ed è descritto come “Capacità di relazionarsi con gli altri, con se stessi e con la natura con gentilezza, empatia e compassione affrontandone le relative sofferenze”.
Nel framework si è scelto di inserire sia l'empatia che la compassione come concetti con connotazioni un po' diverse. Dal momento che esistono molteplici concettualizzazioni diverse in letteratura, si è valutato saggio mantenerne le definizioni piuttosto aperte.
Empatia e compassione, cosa sono?
L'empatia è intesa come la capacità di comprendere con relativa precisione e di immedesimarsi in ciò che provano gli altri, mentre la compassione aggiunge la qualità di volersi rapportare a se stessi, alle altre persone e alla natura con benevolenza. L'empatia e la compassione sono anche componenti importanti dell'intelligenza emotiva.
Per quanto riguarda l'empatia, è utile l'articolo di Jakob Håkansson Eklund e Martina Summer Meranius della Malardalen University (Svezia) “Toward a consensus on the nature of empathy: A review of reviews” del 2021, nel quale gli autori hanno fornito una sintesi delle review già presenti in letteratura - pubblicate dal 1980 al 2019 - sull'empatia al fine di identificare somiglianze e differenze tra le varie concettualizzazioni.
L'analisi ha individuato quattro temi presenti nella maggior parte delle concettualizzazioni dell'empatia mostrando un consenso emergente tra neuroscienziati, psicologi, scienziati medici, scienziati infermieristici, filosofi e altri sull’osservazione che l'empatia comporta comprensione, sentimento, condivisione e differenziazione tra sé e l'altro.
Anche il concetto di compassione è vasto e ricco di sfumature, abbracciando diverse accezioni a seconda del contesto in cui viene considerato.
La compassione è spesso vista come ( come nel caso del framework IDG) un'estensione dell'empatia, dove non solo si riconoscono e si comprendono le emozioni altrui (empatia), ma si agisce anche per alleviare la sofferenza degli altri.
Questo implica un passaggio dalle dimensioni riflessiva ed emotiva all'azione concreta.
Nella tradizione buddhista, la compassione (karuṇā) è uno dei quattro sentimenti sublimi e significa sperimentare il desiderio del bene nei confronti di ogni essere senziente.
Nel cristianesimo, la compassione è una virtù centrale, spesso associata alla pratica della carità che implica una cura disinteressata e altruistica verso il prossimo.
Nella filosofia del ‘900, Emmanuel Levinas la considera il fondamento dell'eticità e della responsabilità verso l'altro sostenendo che la compassione nasce dal riconoscimento dell'alterità e della vulnerabilità dell'altro e ci spinge a rispondere a questa vulnerabilità con un impegno etico e morale.
Martha Nussbaum la considera una componente importante della vita emotiva e della cittadinanza democratica.
Paul Ricoeur la vede come una forma di "sollecitudine" per il prossimo che si esprime nella giustizia e nella carità.
In psicologia, la compassione è studiata sia come tratto personale che come stato emotivo temporaneo. La ricerca ha dimostrato che pratiche di compassione possono migliorare il benessere mentale, ridurre lo stress e aumentare la resilienza emotiva. Interventi come la Terapia della Compassione (Compassion-Focused Therapy, CFT) sono utilizzati per trattare disturbi come la depressione e l'ansia.
In ambito educativo, insegnare la compassione può contribuire a creare ambienti più inclusivi e supportivi e a sviluppare preziose abilità sociali ed emotive, migliorando sia i risultati che il benessere personale.
Un modo per comprendere la differenza tra i concetti di empatia e compassione è osservare che l'empatia si presnta come un'emozione, mentre la compassione è un'intenzione.
Parliamo di empatia quando vediamo qualcuno soffrire, comprendiamo la sua sofferenza e la ‘sentiamo’ come nostra. La compassione è diversa: è fare un passo indietro dall'empatia e chiedersi cosa possiamo fare per supportare la persona che soffre.
Tania Singer, una celebre neuroscienziata e capo del Social Neuroscience Lab della Max Planck Society a Berlino, in Germania, ha condotto uno studio che illustra perfettamente questa distinzione.
Ha eseguito una serie di scansioni cerebrali su Matthieu Ricard, un noto monaco buddhista. Per lo studio, Ricard è stato collegato a una macchina fMRI (risonanza magnetica funzionale) e gli è stato chiesto di immaginare la sofferenza dei bambini orfani.
In precedenti test effettuati dalla Singer, questo tipo di pensiero attivava le stesse aree cerebrali del dolore fisico reale. Ma con Ricard, come ha descritto Singer, "Ho visto attivarsi reti associate alla ricompensa, come avere una sensazione piacevole." La Singer era confusa. "Cosa sta facendo? - si chiese - Sta pensando al pranzo?"
Quando la Singer chiese a Ricard della discrepanza, lui disse: "Non mi hai chiesto di soffrire con questi bambini. Mi hai chiesto di meditare in uno stato compassionevole mentre immaginavo questi bambini."
In quel momento, la Singer scoprì una distinzione e una relazione importanti tra empatia e compassione.
Prima di tutto, aveva scoperto che le due esperienze sono distinte e operano attraverso diverse reti neurali. Ma aveva anche scoperto una relazione importante tra di loro.
A questo proposito dice: "Quando vedi sofferenza, hai una risposta empatica naturale. Questo è il modo in cui sai che qualcuno ha bisogno di aiuto ma poi la cosa importante è passare alla compassione. La compassione è radicata nel nostro sistema di cura e affiliazione. Evolutivamente, questo è un sistema separato. È un sistema che promuove calore, cura, altruismo e aiuto."
A cosa ‘servono’ empatia e compassione nelle organizzazioni
Empatia e compassione non sono ‘competenze soft’, sono una delle chiavi per creare una vita lavorativa equilibrata, dignitosa e di successo. Eppure solo in rari casi sono comprese e considerate essenziali nei luoghi di lavoro.
Cosa significa essere compassionevoli nei luoghi di lavoro?
Ad esempio può essere semplicemente presumere che gli altri abbiano buone intenzioni anche quando una situazione (per qualsiasi motivo) non va come previsto, piuttosto che automaticamente incolpare altri o scagliarsi contro di loro.
Nonostante le molte tensioni e gli errori che spesso sorgono al lavoro, la maggior parte delle persone non si sveglia pianificando attivamente di comportarsi da maleducata o di mettere a disagio gli altri.
"Per troppe persone, il loro luogo di lavoro è solo un'interruzione del loro tempo libero, una forma di sofferenza pagata" afferma Jon Ramer, fondatore di Compassion Games, un'organizzazione globale dedicata a creare pensiero compassionevole e azione compassionevole nella vita quotidiana. "Se più luoghi di lavoro costruissero la loro cultura su una base di compassione, le persone sarebbero più soddisfatte e vivrebbero il lavoro in maniera più dignitosa. Vedrebbero una connessione tra i loro valori umani più profondi e il modo in cui trattano gli altri - e vengono trattati - al lavoro."
Per molte persone, la compassione non è facile, specialmente nei contesti di lavoro. Questo perché, come esseri umani moderni, abbiamo creato una cultura del lavoro che generalmente non supporta il fallimento e non pratica l'umiltà.
Nel lavoro, cerchiamo riconoscimento e quando, per qualsiasi motivo, non ci viene dato credito, è diventata un'abitudine incolpare gli altri piuttosto che praticare l'auto-compassione (attraverso l'auto-riflessione, l'auto-responsabilità e l'accettazione delle nostre imperfezioni). Essere compassionevoli significa riconoscersi vulnerabili e accettare di non essere ‘perfetti’.
In un mondo spesso fissato sulla perfezione e sul riconoscimento, mostrarsi vulnerabili è un atto di coraggio e comporta assumere un rischio. La compassione è un rischio che vale la pena correre e sta iniziando a guadagnare attenzione nelle organizzazioni.
La compassione nel luogo di lavoro non è diversa dalla compassione in qualsiasi altro luogo.
Inizia con una semplice scelta. La scelta di essere aperti a sentire ciò che gli altri stanno sentendo, o almeno riconoscere che le persone non si presentano con l'intenzione di essere cattive, difficili o scortesi. Considerare che è possibile che stiano affrontando difficoltà: essere genitori single, problemi di salute, divorzi, lutti, disabilità, ecc.
Non conosciamo davvero l'esperienza degli altri prima di incontrarci nel nostro comune luogo di lavoro.
Quindi, la prossima volta che siamo al lavoro e le cose non vanno come vorremmo, facciamo un respiro profondo e presumiamo che i nostri colleghi abbiano intenzioni positive.
Quando parliamo di luoghi di lavoro inclusivi intendiamo contesti nei quali ciascuno può mostrarsi per quello che è e per come sta sentendosi psicologicamente sicuro.
Possiamo imparare a dare questa possibilità a noi stessi e possiamo darla agli altri, contribuendo attivamente a costruire una cultura della compassione.
Come sviluppare empatia e compassione
In genere si ritiene che nasciamo con una capacità intrinseca di empatia e compassione verso le persone con cui siamo in stretto contatto, che può essere estesa a cerchie più ampie, come le organizzazioni e le culture.
La nostra capacità di compassione può anche diminuire temporaneamente, ad esempio in situazioni di stress o di ostilità o se rimaniamo bloccati nei nostri giudizi o in autocritiche malsane o addirittura nella vergogna.
Si tratta però, fortunatamente, di risorse che possono può essere coltivate e sviluppate.
La formazione alla compassione spesso mira ad affrontare la propria sofferenza, in questo caso parliamo di auto-compassione, ma nello specifico contesto di questo articolo il focus è sulle relazioni con gli altri.
Uno specifico allenamento alla compassione può essere in ogni caso svolto attraverso diverse pratiche del sé come, ad esempio, la meditazione.
Ma anche aiutare persone svantaggiate, impegnarsi per alleviare la sofferenza degli altri, mantenere costantemente viva la consapevolezza del proprio consumo delle diverse risorse, praticare atti di generosità, ospitalità o gentilezza nei confronti di chi ci sta a cuore, o di sostegno e di connessione con gli altri in genere e con la natura contribuisce anche allo sviluppo personale.
Sforzandosi di non essere giudicanti e di non rimanere attaccati ai propri pensieri, sentimenti, convinzioni, facendo il meglio che si può con i mezzi che si hanno a disposizione.
Alcuni spunti per un agire di ‘etica minima’
Micro-compassioni
L'opposto delle micro-aggressioni sono le micro-compassioni. Queste sono azioni che possiamo compiere ogni giorno, in ogni momento. Le micro-compassioni avvengono ogni volta che passiamo dal 'me' al 'noi', ogni volta che diamo sollievo a qualcuno, ogni volta che creiamo connessioni. Sono cose che possiamo fare consapevolmente per aiutare la luce di qualcun altro a brillare più luminosa.
Sorridere
Non è difficile. Quando ci salutiamo in una riunione. Quando siamo in fila all’ascensore o alla mensa. Quando incrociamo qualcuno nei corridoi. Basta sorridere. Dire buongiorno, ciao.
Esprimere apprezzamento
Questo segue il sorriso. Quando vediamo qualcuno, possiamo prima sorridergli. Poi, possiamo notare qualcosa di positivo in lui e dirglielo.
Includere e ascoltare empaticamente
Nelle riunioni spesso sentiamo solo poche voci, mentre altre rimangono in silenzio. Possiamo coinvolgere delicatamente chi è più silenzioso. E ascoltare semplicemente, con l'intenzione di comprendere profondamente l'altra persona. Non riportando la sua storia alla nostra storia. Non aspettando di intervenire in risposta ma piuttosto chiedendosi con genuina curiosità cosa stia l'altro cercando di dire e perché.
La compassione non deve essere un grande gesto. Possiamo creare una cultura della compassione nel nostro luogo di lavoro, nella nostra famiglia, nel nostro quartiere, con semplici gesti.
Ecco una piacevole sorpresa: ognuno di questi, se li facciamo con un cuore aperto, ci farà sentire meglio.
Guidare con compassione
Nello stato di ‘policrisi’ nel quale si trova il nostro mondo attuale, i dati a livello globale mostrano che il burnout sta peggiorando, l’isolamento e le dimissioni dal lavoro stanno aumentando e la fiducia tra le persone, negli intellettuali, nei leader politici, così come nei datori di lavoro, è crollata.
I leader stanno cercando disperatamente modi per stabilizzare le loro organizzazioni e trattenerne i partecipanti.
Che sia per una scelta deliberata o per un incidente felice, molti – e molte - leader hanno scoperto l'impatto positivo di mostrare maggiore vulnerabilità ed empatia verso gli altri di fronte alle sfide che tutti affrontiamo.
Infatti, in tanti indicano l'empatia come la caratteristica di leadership più importante in questo momento di tumulto e incertezza.
L'empatia è certamente buona, ma non è sufficiente. I leader devono abbinare l'empatia all'azione. Quando lo fanno, mostrano compassione.
L'empatia è l'istinto umano naturale di riconoscere le emozioni degli altri e utilizzare questa consapevolezza come catalizzatore per creare legami. Come leader, è importante empatizzare con i propri interlocutori e collaboratori, comprendere la loro prospettiva e mettersi nei loro panni.
Ma, nel contesto lavorativo, questo non è sufficiente.
I leader compassionevoli possono mettersi allo stesso livello delle loro collaboratrici e dei loro collaboratori e poi chiedere: e ora? Possono riconoscere un problema e poi usare la compassione per aiutare a definire i passi successivi migliori.
E’ importante connettersi con gli altri attraverso l'empatia, ma per ottenere i migliori risultati, è necessario guidarli con compassione.
Fare questa distinzione non è solo una questione di semantica: è una distinzione critica necessaria per garantire il proprio benessere e il successo delle persone e dell'organizzazione che si guida.
Nello studio "The Human Leader" condotto da Potential Project – società di ricerca e consulenza globale - , uno studio biennale su 5.000 aziende in 100 paesi, è stato misurato come i leader si auto-classificassero sulla scala dell'empatia rispetto alla compassione e poi questi risultati sono stati correlati con le esperienze sia dei leader che dei collaboratori sul luogo di lavoro.
Lo studio ha mostrato che i leader che si erano valutati a un livello alto sulla compassione riportavano un burnout inferiore del 63%, uno stress inferiore del 66% e una intenzione di lasciare l'organizzazione inferiore del 200%.
I leader altamente compassionevoli si sentono più sicuri nella loro capacità di guidare gli altri e sono meno propensi a sperimentare disagio personale o essere sopraffatti da emozioni negative.
I dati mostrano anche che i leader con una preferenza per l'empatia hanno un rischio di burnout aumentato, in media, del 12% rispetto ai loro colleghi più compassionevoli.
Il quadro è altrettanto positivo per i collaboratori guidati da leader compassionevoli. Sono il 25% più coinvolti nel loro lavoro e il 20% più impegnati nell'organizzazione. Non sorprende che anche loro abbiano un rischio di burnout inferiore dell'11%.
Oggi, quando la maggior parte delle persone riflette sul proprio futuro lavorativo e sul ruolo che il lavoro gioca nella propria vita, questo cambiamento di prospettiva dall'empatia alla compassione è fondamentale, non solo per il benessere personale, ma anche per il benessere dei lavoratori, la fidelizzazione e il clima interno.
Coltivare se stessi come leader compassionevoli
Iniziare con l'auto-compassione
Non si può, infatti, sviluppare una pratica compassionevole verso gli altri se non possiamo farlo prima verso noi stessi. Lasciare andare l'autocritica spietata e concedersi un po' di tregua, la pazienza è dovuta.
Anche abituarsi a pratiche di auto-compassione come dormire a sufficienza, fare pause adeguate e dedicare tempo a cose che danno gioia.
Stabilire una routine regolare di consapevolezza
La consapevolezza abilita la compassione e rende le persone più consapevoli di sé. Una maggiore consapevolezza di sé aiuta a essere più intenzionali nelle proprie decisioni e più presenti nelle interazioni interpersonali.
Considerare come possiamo essere di beneficio agli altri
Prima di iniziare una riunione o una conversazione importante con qualcuno, verificare la propria intenzione. Chiedersi, come posso essere più utile a questa persona oggi?
Riflettere su questa intenzione di servire prima di incontrare altre persone aiuterà a creare un'interazione più umana, focalizzata sulla crescita e sullo sviluppo.
Dare più di quanto si prenda
È difficile non pensare a se stessi la maggior parte del tempo; pensare alle proprie responsabilità, ai propri impegni e alle proprie sfide. Ma a volte dobbiamo distogliere la mente da noi stessi. Dobbiamo decidere consapevolmente di pensare agli altri e prendere una decisione deliberata di dare più di quanto prendiamo.
Questo può manifestarsi, semplicemente, anche solo con l'essere presenti e il concentrarsi sugli altri dedicando loro tempo in maniera disinteressata.
Aiutare gli altri a vedere ciò di cui hanno bisogno per essere felici
Indipendentemente da quanto sia gratificante, ottenere un aumento di stipendio o acquistare qualcosa che si desidera, la ricerca ci dice che eventi ed esperienze esterne non creano vera felicità. Queste cose creano piacere, non felicità. Tutti noi vogliamo sentirci realizzati e godere del piacere che questo porta, ma dobbiamo fare attenzione a non scambiarlo per felicità.
La vera felicità, al contrario, è un'esperienza di appagamento e benessere duraturo.
La felicità deriva dalle nostre esperienze umane più profonde come fare un lavoro significativo, prendersi cura degli altri, essere generosi e creare connessioni autentiche. È lo stato a lungo termine nel quale si sperimenta una vita significativa, con uno scopo e positiva.
Con l’esempio e il dialogo possiamo aiutare a creare una cultura in cui gli altri pongano maggiore attenzione alle vere connessioni umane creando più benefici e il potenziale per una felicità più genuina per tutti.
Per concludere
Empatia e compassione stanno emergendo come una competenza cruciale nello sviluppo personale, nella leadership e nel management.
Persone e leader empatici e compassionevoli sono visti come più efficaci nel creare ambienti di lavoro positivi, capaci di migliorare la soddisfazione e la lealtà di tutti, e nel promuovere una cultura aziendale sana.
La leadership compassionevole implica ascoltare attivamente i bisogni dei collaboratori, agire per supportarli e creare un clima di fiducia e rispetto reciproco.
Portare i leader aziendali a predersi cura della compassione può essere difficile perché, come spiega Ramer (cfr. sopra), "misurare l'impatto della compassione - e valutare come si traduce nel risultato finale - è un concetto nuovo e questo rende difficile giustificare le risorse necessarie per sviluppare questa capacità nelle situazioni di lavoro. Senza di essa, però, i lavoratori si esauriscono, i manager si affaticano e i clienti possono percepire negativamente la qualità dell'esperienza".
Quali sono allora alcuni benefici della creazione di luoghi di lavoro premurosi che possono essere sottolineati?
Quando le aziende si impegnano a sviluppare empatia e compassione dimostrando una sincera attenzione e cura per la cultura in cui operano, questo influisce sulla qualità del servizio offerto così come sul modo in cui i lavoratori interagiscono tra loro e con i fornitori.
Empatia e compassione costruiscono comunità tra il personale e influenzano direttamente la lealtà e la fidelizzazione di lavoratori e clienti.