Come ritrovare la propria motivazione e non perderla più

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Perché è così importante trovare e ritrovare la propria motivazione e non perderla più?

La domanda può sembrare banale così come le risposte. E' difficile, infatti, portare argomenti che non risultino né scontati  né difficilmente praticabili.

Perché è importante la motivazione

Molto è stato detto e scritto sulla motivazione e sulla sua importanza nelle scelte significative della nostra vita così come nella quotidianità. 

La motivazione è il nostro personalissimo 'perché', ciò che guida le nostre decisioni e ci spinge a fare anche scelte difficili e - viste dall'esterno - eccessivamente faticose.

Stephen Covey la definiva "il grande sì che ti brucia dentro”.

In effetti, quando sentiamo una forte motivazione, avvertiamo un senso di urgenza all'azione difficile da dominare, come, appunto, se avessimo un fuoco che arde e non possiamo né vogliamo dominare.

Ma un fuoco che brucia intensamente rischia di consumarsi e consumarsi rapidamente, esaurire tutto l'ossigeno, e lasciarci senza fiato né energie. 

La motivazione è un fuoco che dobbiamo imparare a dominare, evitando al contempo che vada fuori controllo - spingendoci a scelte impulsive e non ponderate negli effetti a lungo periodo – così come che si spenga - portandoci a rinunciare quando alimentarlo sembra troppo difficile -.

Gli effetti della carenza di motivazione 

Perché capita che la nostra motivazione si spenga? 

In fondo, se è il nostro perché, quello che abbiamo scelto, che ci fa alzare la mattina, che ci fa agire, come è possibile perderlo? 

Perché tra noi e la nostra motivazione c'è la vita e in essa eventi grandi e piccoli - che non sempre possiamo dominare - che catturano la nostra attenzione e che, volenti o nolenti, ci deviano dal percorso che avevamo tracciato con tanta convinzione.

La sensazione è allora di non aver più motivazione o di averne talmente poca da lasciare che qualunque altra ‘cosa’ sia più importante.

Preoccupazioni, delusioni, mero senso del dovere, ostacoli oggettivi e materiali, sono tutte possibili cause della nostra perdita di motivazione.

Ciò genera in noi una serie di effetti emotivi che si traducono in azioni che – immancabilmente - si trasformano in 'profezie autoavverantesi' (eventi che concorrono ad abbassare ancora di più la nostra motivazione) trascinandoci in un circolo vizioso in cui siamo sempre più a disagio e dominat* dall'insoddisfazione.

Vediamoli:

  • senso di vuoto. Ciò che ci toglie motivazione non la sostituisce, semplicemente crea il nulla. Usando un paragone forte, è come un lutto, una mancanza che non può essere compensata. Con il tempo impariamo a conviverci, ma non ad apprezzarla.
  • insoddisfazione. Non importa quanto prestigiosa sia la nostra posizione sociale o professionale, non importa quanti complimenti o riconoscimenti riceviamo, se il nostro agire non è coerente con la nostra motivazione profonda, ci sentiremo comunque insoddisfatt*.
  • immobilità/affanno. La carenza di motivazione ci priva della spinta all'azione o, all'opposto, ci dà la sensazione di correre continuamente senza però avanzare di un passo, come un criceto in una ruota.
  • inadeguatezza. Quando perdiamo motivazione a causa di ostacoli che pensiamo di non poter superare, o a seguito di un fallimento, ce ne attribuiamo - a volte inconsapevolmente - la responsabilità. Pensiamo di non essere all'altezza dei nostri sogni e allora, nel tentativo di soffrirne meno, li chiudiamo in un cassetto, il più in fondo possibile, per non averli costantemente sotto gli occhi, a ricordarci la nostra inadeguatezza.

Ritrovare l'auto motivazione

Sta a noi scegliere di trovare la nostra motivazione, ritrovarla quando la perdiamo, e fare in modo di non perderla più, nonostante tutto.

Possiamo decidere di farci aiutare a ‘rimanere in spinta’, - per esempio intraprendendo percorsi di coaching - ma, alla fine, come diceva Kobe Bryant “se non credi in te stess*, nessuno lo farà per te”.

Annota i perché 

‘Perché’ è una piccola parola con effetti potenti: invita alla riflessione e all'introspezione, con un po' di insistenza, spinge all'indagine profonda.

Si tratta di tornare bambin* e continuare a chiederci perché fino a sentirci soddisfatt* delle risposte, senza accontentarci - però - delle prime che ci vengono in mente, o di quelle superficiali indotte da domande troppo generiche.

Proviamo a tracciare un possibile percorso, e le sue funzioni, consapevoli che non esiste una regola buona per tutte le situazioni e che quelli che seguono sono suggerimenti con l'obiettivo di supportare e non di dirigere la riflessione.

La premessa è mettere a fuoco la nostra motivazione.

1. Cosa voglio davvero per me e la mia vita? Cosa mi fa battere il cuore?

2. Perché? 

La risposta può apparire scontata ma a volte accade che scambiamo per nostra motivazione:

  • aspettative di altre persone (famiglia, partner, ecc.). Accade che i genitori riversino sui/lle propri(e) figli(e) ambizioni proprie così come paure o frustrazioni. In entrambi i casi agendo in maniera per lo più inconsapevole e con le migliori intenzioni e, tuttavia, esercitando costanti pressioni emotive. Lo stesso si può dire per partner e consorti. In questo caso, potremmo confondere la nostra motivazione con il desiderio di compiacere
  • modelli sociali che ci spingono a identificarci per ricchezza, quantità e qualità di cose possedute, stile di vita ecc. Ciò che pensiamo sia motivazione, potrebbe essere, invece, bisogno di accettazione, attraverso l’adeguamento a modelli precostituiti che potrebbero non rappresentarci
  • desiderio di fuggire da qualcosa. Per certi aspetti questa può esser considerata una motivazione. C'è chi ritiene, anzi, che il dolore sia una leva motivazionale anche più potente del desiderio.Tuttavia, la motivazione 'via da' presenta un’insidia: concentriamo le nostre energie sull'allontanarci da ciò che ci mette a disagio e non ci piace e non ce ne restano per decidere dove ci sentiamo a nostro agio e ci piace stare. Il risultato può essere l'approdo in una condizione che non necessariamente ci piace di più e che, comunque, non abbiamo scelto.

È utile indagare questo primo perché il più a fondo possibile, continuando a chiederci perché a ogni risposta, magari rispondendoci per iscritto - possibilmente a mano - in modo da poter osservare le risposte e comprendere se ci risuonano fino in fondo.

3. Volendo andare ancora più a fondo, possiamo aggiungere altri perché che riguardano:

  • perché abbiamo fatto o facciamo scelte non coerenti con la nostra motivazione
  • perché ci capiti - se capita - di mollare, e lasciarci portare dagli eventi
  • perché consideriamo - se lo facciamo - il giudizio di certe persone sulle nostre azioni più importante della motivazione che ci ha spinto a farle. 

Perché, perché, perché? 

Sempre più a fondo dentro di noi, fino alla nostra essenza e alla nostra motivazione profonda. 

Definisci gli obiettivi 

La motivazione, per non rimanere una mera aspirazione, ha bisogno di essere ancorata a obiettivi che le diano concretezza.

Molti di noi conoscono l'acronimo SMART, che riassume una procedura mutuata dal mondo manageriale per redigere degli obiettivi ben fatti. 

Ripercorriamone velocemente le fasi:

S = specifico. Non “voglio essere ricc*” ma “voglio guadagnar tot. all'anno”. Non “voglio essere felice” ma “Sarò felice quando...

M = misurabile. Un obiettivo ben redatto deve essere - in qualche modo – misurabile, cioè osservabile nel suo avanzamento (o meno). Se voglio guadagnare una certa somma all'anno e ora ne guadagno la metà, misurerò i miei guadagni progressivamente crescenti - o non - per capire se le azioni che sto compiendo sono utili al raggiungimento del mio obiettivo, oppure devo cambiare strategia.

La misurabilità mi consente anche di dividere il mio obiettivo in una serie progressiva di obiettivi più piccoli che mi consentono una periodica valutazione degli avanzamenti e della strategia.

A = attivo. La realizzazione del mio obiettivo deve dipendere prevalentemente da me. Se il suo raggiungimento è legato al caso o a scelte e comportamenti di altre persone, che non posso influenzare, non è un obiettivo. 

R = realizzabile. Quando ci poniamo un obiettivo, possiamo incorrere in due errori:

  1. porci un obiettivo troppo piccolo e facilmente raggiungibile. In questo caso il successo è molto probabile ma non corriamo certo il rischio di sottovalutare l'obiettivo o quello di non impegnarci abbastanza o per abbastanza tempo
  2. darci obiettivi troppo grandi - errore più frequente - con conseguente alto rischio di fallimento e quindi frustrazione e calo di motivazione. 

Un obiettivo ben strutturato è sfidante ma alla nostra portata.

Se non possiamo far a meno di fissare un obiettivo raggiungibile solo con tempi e impegno insostenibili per noi, vale la pena di dividerlo in sotto-obiettivi più sostenibili.

T = tempificato. Walt Disney diceva che “la differenza tra un obiettivo e un sogno è una scadenza”. Un obiettivo deve avere un tempo entro il quale essere raggiunto e delle scadenze di verifica intermedie.

Lo SMART è sicuramente uno strumento molto utile ma non sufficiente per mantenere alta la motivazione.

Per non correre il rischio di perdere la spinta motivazionale è consigliabile:

darci pochi obiettivi ma molto strategici.

  • Non cento e nemmeno dieci. Uno, due per la vita professionale e altrettanti per quella personale. Una volta raggiunti, volendo, potremo fissarcene altri. Ma non possiamo immaginare di lavorare contemporaneamente su cento cose differenti.
  • darci il tempo: tempo per pianificare, tempo per realizzare, tempo per riprendere fiato. Un tempo calcolato e ragionevole, certo, ma tempo. Sufficiente per lavorare in maniera sostenibile.
  • perdonarci gli inciampi. Soprattutto se l'obiettivo è sfidante, è possibile che dobbiamo cambiare strategia in corsa, che ci accorgiamo di aver sbagliato strada e dobbiamo tornare un po' indietro, che incontriamo un ostacolo imprevisto. Non vuol dire che l'obiettivo sia irraggiungibile o che non siamo adeguat*. Vuole solo dire che abbiamo sbagliato, qualcosa. Diciamolo: abbiamo fallito. Impariamo dall'errore, riconosciamo e abbracciamo la nostra umana fallibilità e ripartiamo, spint* dalla motivazione.

Pianifica

Definiti gli obiettivi, dobbiamo pianificare le attività e le azioni necessarie al loro raggiungimento e prevedere una data di inizio e di fine per ciascuna.

Può non essere necessario - o addirittura controproducente - realizzare una pianificazione rigida e serrata ma sapere cosa fare e quando ci aiuta a mantenere elevate la focalizzazione sull'obiettivo e la motivazione.

Ci saranno attività che possono procedere in parallelo, altre che dovranno seguire una sequenza.

Stabilite priorità e durate, dobbiamo trovare uno spazio nella giornata o nella settimana in cui dedicarci loro.

Anche quando si tratti di obiettivi squisitamente personali - e, anzi, a maggior ragione in questo caso - è bene che le attività abbiano uno spazio nella nostra agenda, come qualunque impegno professionale o familiare 'a scadenza improrogabile'.

In questo modo avremo maggiori possibilità di raggiungere i nostri obiettivi, costruire una vita coerente con ciò che siamo e mantenere la nostra motivazione per viverla pienamente.

Festeggia i traguardi 

Questa è forse la pratica più utile - e al contempo più sottovalutata - per mantenere alta la motivazione. 

Sfortunatamente, alcuni modelli genitoriali, scolastici e anche aziendali, ci impongono di puntare al massimo risultato senza tenere conto degli avanzamenti. 

Se a scuola passiamo da una grave insufficienza alla sufficienza, veniamo subito pungolat* a fare ancora di più, magari attraverso il confronto con compagni più preparati o additando come frutto di svogliatezza l'essere solo sufficienti.

In famiglia si fanno confronti con fratelli e sorelle, evidenziando le carenze degli uni rispetto alle altre e viceversa. 

In azienda si premiano i best performer e si pianificano percorsi per i talenti, ma non più di un minuto viene dedicato a chi, iniziando magari con difficoltà e scarsa motivazione stia evolvendo.

Il miglioramento continuo è considerato un dovere senza merito.

Intendiamoci, spingersi progressivamente oltre i propri limiti è una buona pratica, se vissuta serenamente e consapevolmente. Per farlo ci sono delle 'regole del gioco' da ricordare:

  • il confronto con gli altri deve essere ispirativo e non competitivo. Se qualcun* fa meglio di me, posso decidere di prenderl* a modello e magari chiedere consigli. Crescere 'contro' qualcun altr* può essere estenuante (allo sforzo per raggiungere l'obiettivo si aggiunge lo stress della competizione) e potenzialmente inutile: l'altra persona - probabilmente - proseguirà il proprio percorso di crescita, lasciandoci costantemente indietro 
  • i traguardi sono nostri e solo noi ne conosciamo il reale prezzo. A occhi esterni il risultato può apparire meno significativo perché solo noi sappiamo da dove siamo partit* e quanto impegno e lavoro ha richiesto. Paradossalmente, più l'obiettivo è strategico - significativo per allineare la nostra vita alla nostra motivazione profonda - meno il successo risulterà eclatante e pubblicamente riconosciuto. E va bene così. Ci sono successi privati che non hanno bisogno di una platea che applaude
  • festeggiamo gli avanzamenti. Quanto più l'obiettivo è ambizioso, tanto più ha bisogno di tempo. Per tenere alta la motivazione, dobbiamo festeggiare gli avanzamenti tanto quanto il traguardo finale, consapevoli che ogni avanzamento è un passo verso il successo finale.
  • festeggiamo i traguardi. Lo abbiamo detto all'inizio: se è vero che si può fare sempre meglio, è altrettanto vero che questo 'meglio' dipende dal 'da dove' siamo partiti. Perciò quando raggiungiamo un traguardo, diamoci il tempo per:
    • riconoscerlo
    • riconoscere il lavoro che abbiamo fatto per conseguirlo
    • premiarci - anche solo moralmente - per il risultato conseguito
    • goderci questo risultato, metabolizzarlo e cristallizzare gli apprendimenti e le azioni positive che ci hanno consentito di conseguirlo. 

Ciò darà la giusta spinta alla nostra motivazione e l'energia per intraprendere nuove sfide.

 

Photo by capnsnap on Unsplash