Conoscenza, tra filosofia e autodifesa

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La conoscenza è un tema centrale nella filosofia, un concetto che ha suscitato riflessione e dibattito nel corso dei secoli.

Essa può essere definita come la consapevolezza e comprensione di verità, fatti o informazioni, ottenuta attraverso l’esperienza o l’apprendimento. Tuttavia, la sua natura è complessa e sfumata, e merita di essere esplorata attraverso diverse lenti filosofiche e storiche.

Storia della Conoscenza

Nella tradizione filosofica occidentale, la questione della conoscenza è stata affrontata da pensatori come Platone, Aristotele, Montaigne, Cartesio e Kant.

Platone sosteneva che la vera conoscenza risiede in un mondo ideale, al di là delle apparenze sensibili. Secondo lui, conoscere significava ricordare le idee pure che l'anima aveva visto prima di incarnarsi.

Aristotele - e anche gli Stoici e gli Epicurei per alcuni aspetti -, al contrario, enfatizzavano l'importanza dell'esperienza sensibile come punto di partenza per la conoscenza. Per Aristotele i dati raccolti dai sensi costituiscono la base del sillogismo, ovvero di quella attività del pensiero logico che è essenziale per astrarre l'universale dalle realtà particolari.

Lo scetticismo antico, invece, riteneva che non fosse possibile la conoscenza in sé contestando l’affidabilità sia dei sensi che dell’intelletto.

Lo scetticismo moderno, nato tra il ‘500 e il ‘600, si distingue per un approccio meno radicale rispetto a quello antico, affermando l'impossibilità della ragione di cogliere la verità nei dati sensibili, ma riconoscendo al contempo che le sensazioni possono contenere elementi di verità.

Questo scetticismo è caratterizzato dalla sospensione del giudizio e dalla critica al dogmatismo, riflettendo una continua oscillazione tra affermazioni certe e dubbi.

Michel de Montaigne è una figura chiave. La sua opera, "I Saggi", evidenzia un approccio critico e personale alla filosofia, enfatizzando l'importanza del dubbio e dell'esperienza individuale.

In questo solco, anche Cartesio afferma che i sensi possono ingannare e che solo attraverso l'esercizio del pensiero e il dubbio metodico si può giungere a una conoscenza certa: "Cogito ergo sum" (Penso dunque sono).

La filosofia moderna si dividerà fra razionalismo ed empirismo, privilegiando l’intelletto nel primo caso, i sensi nel secondo. 

Fino a Immanuel Kant, che ha rivoluzionato il concetto di conoscenza attraverso la sua opera principale, "Critica della ragion pura", in cui sviluppa una teoria che integra elementi dell'empirismo e del razionalismo. La sua proposta è nota come rivoluzione copernicana della conoscenza, in quanto sposta l'attenzione dal mondo esterno (oggetti) al soggetto conoscente e alle sue strutture cognitive.

Nella seconda parte del ‘900 ci troviamo di fronte a una delle svolte più rilevanti nell’ambito della teoria della conoscenza.

La ricerca epistemologica si è, infatti, riorientata in senso naturalistico-biologico. A partire dalla biologia evoluzionistica di Charles Darwin si sviluppa una  epistemologia evoluzionistica la cui idea fondamentale è che i processi cognitivi, al pari delle altre capacità animali e umane, non siano altro che funzioni estremamente complesse sviluppatesi nel corso della filogenesi (la storia evolutiva della vita) per assicurare la conservazione della specie.

In questa prospettiva la vita stessa può essere considerata come un processo conoscitivo.

Secondo K. Lorenz, che insieme con Karl Popper e D.T. Campbell è stato uno dei maggiori rappresentanti di tale orientamento, immagazzinare 'informazioni' sull’ambiente, per meglio adattarsi a esso costituisce l’attività fondamentale degli organismi viventi che le selezionano in ragione della loro efficacia a questo fine. L’attività scientifica, secondo Popper si caratterizza, quindi, come eliminazione selettiva delle ipotesi errate (soluzioni inadatte) e conservazione selettiva di quelle corrette o vere (soluzioni adatte). 

La teoria della conoscenza, come si può immaginare per quanto detto fino a questo momento, continua ad essere ancora oggi oggetto di ricerca e di confronto ma nella breve esplorazione della sua storia ci fermiamo qui, sperando di aver dato almeno un po’ il senso della complessità della questione e delle implicazioni, anche ‘pratiche’, dei diversi approcci.

Nel cuore del nostro vivere quotidiano, infatti, la conoscenza è una bussola invisibile che guida le nostre scelte, plasma i nostri valori e definisce chi siamo.

Ma come possiamo distinguere la conoscenza nelle sue forme e da altre forme di pensiero come il credere o il ritenere?

Riflettere su queste domande non è solo un esercizio filosofico: oggi, nell’era delle fake news e dell’informazione sovrabbondante, è diventata una necessità cruciale.

Distinzioni Fondamentali: Sapere, Conoscere, Credere e Ritenere

Per la nostra finalità ‘pratica’, è cruciale distinguere tra termini spesso usati in modo intercambiabile ma con significati distinti:

Sapere - questo verbo si riferisce principalmente a una conoscenza teorica o a un'informazione specifica. Indica la capacità di avere accesso a dati, fatti o abilità. Ad esempio, si può dire "So che Roma è la capitale d'Italia" oppure "So nuotare". Qui, il sapere implica una forma di conoscenza che può essere appresa senza necessariamente avere un'esperienza diretta.

Conoscere - implica una familiarità più profonda e diretta con qualcosa o qualcuno. Quando diciamo "Conosco bene Maria" o "Conosco la storia dell'arte", stiamo parlando di un legame esperienziale, che richiede interazione e apprendimento diretto. Conoscere implica una relazione più intima e personale con l'oggetto della conoscenza.

Guardiamo ora alle differenze chiave tra questi due aspetti della conoscenza.

Con riferimento al tipo di conoscenza,

  • il sapere è spesso passivo; si tratta di informazioni che possiamo avere senza averle vissute direttamente. Ad esempio, possiamo sapere che un certo piatto è delizioso senza mai averlo assaggiato.
  • La conoscenza è attiva; implica un coinvolgimento personale e un'esperienza diretta. Ad esempio, conoscere un luogo significa averlo visitato e averne esplorato gli aspetti.

Con riferimento alle implicazioni pratiche:

  • Sapere è legato a nozioni generali e può essere trasmesso facilmente attraverso l'informazione. È come avere un manuale di istruzioni.
  • Conoscere richiede pratica e applicazione. È simile a saper usare quel manuale per costruire effettivamente qualcosa.

Se ne esploriamo le sfumature emotive e relazionali:

  • Sapere tende a essere più oggettivo e distaccato. Ad esempio, sappiamo molte cose su eventi storici senza sentirci coinvolti emotivamente.
  • Conoscere comporta una dimensione emotiva; conoscere una persona significa avere un legame affettivo e relazionale con essa.

Senza fermarci ad approfondire riflettiamo sul significato peculiare degli altri due verbi.

Credere: implica un'accettazione personale di un'idea o affermazione senza necessariamente avere prove concrete.

Ritenere: è simile al credere ma con una connotazione più forte di convinzione personale.

Queste distinzioni sono fondamentali nella nostra epoca attuale, nella quale la proliferazione di informazioni rende difficile discernere tra ciò che è vero e ciò che non lo è.

L'importanza di un approccio critico alle informazioni

Oggi più che mai, è essenziale sviluppare un senso critico nei confronti delle informazioni.

Le fake news rappresentano una minaccia alla nostra capacità di conoscere e comprendere il mondo. Esse possono manipolare le percezioni pubbliche e influenzare decisioni importanti.

La conoscenza è un concetto complesso che continua a evolversi nel tempo. Le riflessioni filosofiche ci offrono strumenti per comprendere meglio le nostre convinzioni e le informazioni che ci circondano.

In un mondo caratterizzato da incertezze e disinformazione, è fondamentale affinare le nostre capacità critiche per navigare attraverso il mare tempestoso delle informazioni contemporanee. Solo così possiamo aspirare a una forma di conoscenza autentica che non si limiti a credenze superficiali ma si fondi su una comprensione profonda e critica della realtà.

Dal punto di vista filosofico, la distinzione tra sapere e conoscere ci invita a riflettere su cosa significhi davvero 'conoscere' qualcosa.

Platone, ad esempio, nella “Repubblica” distingue tra opinione (doxa) e conoscenza vera (epistéme) e ne fa illustrare a Socrate la differenza. Scienza e opinione – dice Socrate – non sono cose tangibili, bensì forme di potenzialità. Pertanto sono distinguibili solo in quanto potenzialità che si pongono in relazione con elementi differenti. La scienza si pone in relazione con ciò che è per ricavarne conoscenza.

Avere un’opinione su qualcosa rappresenta un grado di conoscenza maggiore rispetto a non saperne nulla ma è un grado minore rispetto alla scienza. Chi conosce per doxa non è disinformato. Ma non ha la capacità di indicare i paradigmi concettuali di quello che sa, perché nella sua mente c’è solo una raccolta di informazioni.

Il mondo della doxa è abitato da un fruitore passivo, un mero spettatore che si smarrisce nella molteplicità delle informazioni che gli sono trasmesse, perché non sa o non vuole fare lo sforzo di costruirsi un filo conduttore concettuale che dia un senso al tutto. L’epistéme, di contro, richiede l’impegno e l’interesse a capire ciò che ci viene trasmesso e a metterlo consapevolmente in parole proprie, a trovarne e criticarne le formule e i nessi.

Un esercizio che ci consente di riconoscere le fake news (informazioni false).

La conoscenza e la critica delle fake news sono strettamente collegate e comprendere come si forma e si verifica la conoscenza sviluppando la capacità di discernere tra informazioni veritiere e false, è fondamentale per una società informata e democratica, per essere persone e cittadini più consapevoli nel mondo contemporaneo.

La cultura, inoltre, gioca un ruolo fondamentale nel processo del conoscere influenzando non solo come apprendiamo, ma anche come interpretiamo e valorizziamo le informazioni. Questa distinzione è particolarmente rilevante in contesti educativi e sociali, dove le diverse tradizioni culturali modellano il modo in cui gli individui si relazionano con la conoscenza.

Ad esempio, le culture orientali tendono a enfatizzare l'importanza del contesto e delle relazioni nel processo di apprendimento. Qui, conoscere qualcosa può significare avere una connessione emotiva o sociale con l'oggetto di studio, mentre sapere è visto come un'informazione più distaccata.

Al contrario, nelle culture occidentali si privilegia un approccio analitico, dove il sapere è spesso considerato più prezioso per la sua applicabilità pratica. Questo porta a una visione del sapere come strumento di potere e controllo, mentre il conoscere può essere visto come una forma di saggezza.

Alcuni studi hanno dimostrato, inoltre, che le differenze culturali influenzano anche la percezione visiva. Ad esempio, i partecipanti occidentali hanno mostrato di riconoscere le differenze tra oggetti in modo più analitico, mentre quelli orientali preferivano adottare un approccio olistico, considerando l'insieme piuttosto che i singoli elementi.

Anche la lingua gioca un ruolo cruciale nella formazione della nostra percezione della conoscenza. Attraverso la relatività linguistica, l'influenza culturale e le differenze nel modo di esprimere esperienze ed emozioni, la lingua non solo riflette ma modella anche il nostro modo di pensare.

Comprendere questa dinamica è essenziale per sviluppare una consapevolezza critica nel mondo contemporaneo, dove le informazioni sono abbondanti ma spesso superficiali. La capacità di riconoscere in che modo la lingua influisca sulla nostra comprensione del mondo può aiutarci a navigare meglio tra le complessità della comunicazione interculturale e dell'apprendimento.

La conoscenza come strumento di difesa

Per orientarsi nella sovrabbondanza di informazioni e contrastare la diffusione delle fake news, la capacità di discernere tra sapere e conoscere è cruciale. La cultura attuale, infatti, spesso premia il sapere superficiale — informazioni rapide e facilmente accessibili — a scapito di una comprensione più profonda e critica.

Come è possibile, allora, resistere a queste pressioni e coltivare l’epistéme per non fermarsi frettolosamente alla doxa?

Ecco cosa, a mio parere, può essere utile.

  • Formazione sulla news literacy, è essenziale per aiutare le persone a riconoscere e analizzare le notizie. Educare gli individui a distinguere tra fatti e opinioni, a verificare le fonti e a comprendere il ruolo del giornalismo nella società è fondamentale per costruire una cittadinanza attiva e consapevole, riducendo la propria vulnerabilità alle fake news  in un panorama informativo complesso.
  • Capacità di analisi critica delle fonti, insieme all'educazione storica, è uno strumenti efficace per smascherare le fake news. Comprendere come valutare l'affidabilità delle informazioni, attraverso un approccio metodologico che esamina le origini e il contesto delle notizie, è essenziale per sviluppare una conoscenza critica. Questo approccio non solo aiuta a identificare le notizie false, ma promuove anche una comprensione più profonda del mondo.
  • Formazione sui bias cognitivi. La diffusione delle fake news è spesso facilitata da bias cognitivi, come, ad esempio, la tendenza a cercare informazioni che confermano le proprie credenze preesistenti. Questo fenomeno può ostacolare la capacità degli individui di valutare criticamente le informazioni mentre la conoscenza di questi meccanismi aiuta a sviluppare un pensiero critico più robusto, permettendo alle persone di mettere in discussione ciò che leggono e ascoltano.
  • Consapevolezza dell’impatto della disinformazione: le fake news possono generare confusione e indebolire la fiducia nelle istituzioni. Quando gli individui non sono in grado di distinguere tra verità e falsità, la loro capacità di prendere decisioni informate viene compromessa. Una solida base di conoscenza permette di contrastare questo effetto, fornendo agli individui gli strumenti necessari per affrontare l''infodemia' (neologismo per indicare una sorta di epidemia di informazioni) che caratterizza l'era digitale.
  • Autocoscienza, intesa come la capacità di essere consapevoli di sé e dei propri pensieri, gioca un ruolo cruciale nel modo in cui acquisiamo, interpretiamo e utilizziamo la conoscenza. Nella tradizione filosofica, l'autocoscienza è stata vista come un presupposto fondamentale per ogni forma di sapere. Socrate, ad esempio, sosteneva che "conosci te stesso" fosse il primo passo verso la vera conoscenza. Questa affermazione implica che la consapevolezza dei propri limiti e delle proprie convinzioni è essenziale per sviluppare una comprensione autentica della realtà. Solo riconoscendo le proprie incertezze si può aspirare a una forma di sapere più profonda e significativa.
  • Capacità di riflessione critica su di sé. Questa permette agli individui di esaminare le proprie idee e credenze. Attraverso l'introspezione, le persone possono esplorare non solo ciò che sanno, ma anche come e perché lo sanno. Questo processo che aiuta a comprendere se stiamo basando la nostra conoscenza su fatti concreti o su opinioni soggettive, rendendo possibile una valutazione più accurata delle informazioni che riceviamo e delle posizioni e decisioni che prendiamo di conseguenza.