'Coscienza' è un concetto chiave nella filosofia, nella psicologia e nelle neuroscienze, eppure la sua essenza sfugge a una definizione univoca.
In italiano, il termine ‘coscienza’ è ricco di sfumature, che vanno dalla consapevolezza di sé e del mondo circostante, all'insieme di valori morali e giudizi etici.
Proviamo a esplorarne le diverse sfaccettature come sempre propongo in questi miei articoli sulle parole della filosofia che, in qualche modo, sento connesse al framework degli IDGs – Obiettivi di Sviluppo Interiore.
Si tratta ancora, quindi, di un breve e arbitrario viaggio attraverso il Pensiero e i suoi autori che si sofferma su aspetti e concezioni che mi sembrano interessanti, importanti e attuali per la riflessione sulla nostra vita personale e professionale.
Ogni aspetto della coscienza apre nuove prospettive e domande sulla natura della mente e dell'esperienza umana.
Esplorare le diverse accezioni in cui la parola viene usata non solo arricchisce la nostra comprensione filosofica, ma ci avvicina anche a comprendere meglio noi stessi e il mondo che ci circonda.
Coscienza come stato di consapevolezza
La prima sfaccettatura del termine ‘coscienza’ si riferisce alla consapevolezza che un individuo ha del proprio ambiente, delle proprie sensazioni, dei propri pensieri e delle proprie emozioni.
La coscienza, in questo senso, è un tema centrale nella filosofia della mente, all’interno della quale ci si interroga su cosa significhi essere consapevoli, quale sia la natura di questa esperienza soggettiva e come essa emerga dalle strutture e dai processi cerebrali.
Una pietra miliare su questo tema l’ha posta René Descartes – Cartesio –, filosofo e matematico francese del XVII secolo, noto per il suo approccio razionalista alla conoscenza e per aver posto le basi della filosofia moderna.
La questione della coscienza è centrale nel suo pensiero e la affronta in particolare nel suo celebre "Discorso sul metodo" e nelle "Meditazioni metafisiche".
La riflessione di Descartes sulla coscienza parte dal dubbio metodico, ovvero dalla decisione di mettere in discussione tutte le proprie conoscenze e credenze per verificarne la solidità e la fondatezza.
Questo processo porta Descartes a una scoperta fondamentale, espressa nella famosa frase "Cogito, ergo sum" ("Penso, dunque sono"). Egli si rende conto che, anche nel momento in cui dubita di tutto, non può dubitare dell'esistenza del proprio pensiero e, di conseguenza, della propria esistenza come soggetto pensante.
La coscienza, per Descartes, è, quindi, essenzialmente legata all'attività del pensiero e alla consapevolezza di sé come "res cogitans" (cosa pensante), distinta e indipendente dal corpo e dal mondo esterno, che invece appartengono alla "res extensa" (cosa estesa).
Questa concezione dualistica di mente e corpo ha avuto un'influenza profonda sulla filosofia e sulle scienze successive, e ancora oggi è oggetto di dibattito e di critiche, spesso radicate in un modo superficiale e malinteso di guardare al pensiero cartesiano.
Per René Descartes la coscienza si identifica con l'attività del pensiero e la consapevolezza di sé come soggetto pensante, è distinta e indipendente dal corpo e dal mondo esterno e ha la funzione di esaminare e giudicare le idee contenute nella mente.
Questa concezione della coscienza è stata assorbita nella tradizione filosofica occidentale e fondamentalmente non è stata messa in discussione fino a tempi recenti.
A partire da Cartesio, quindi, e nei due secoli successivi la coscienza è identificata in una forma di percezione di sé. Coscienza come coscienza di sé, principio unico all’origine delle attività di un agente cognitivo è il concetto che domina lo studio dei processi mentali fino all’alba della psicologia scientifica qundo Sigmud Freud mette in discussione il modello unitario della coscienza che si era affermato fino ad allora.
Nella seconda metà del ‘900, sull’onda dello sviluppo delle neuroscienze comincia a rafforzarsi anche tra i filosofi l’idea che la coscienza possa essere spiegata interamente in termini di processi neurali e fisici.
La coscienza, allora, non è altro che l'attività del cervello e la consapevolezza è un fenomeno materiale.
Per Daniel Dennett - filosofo statunitense recentemente scomparso -, ad esempio, la mente non è un'entità separata dal corpo, ma è il risultato dell'interazione di processi fisici e funzionali che avvengono nel cervello.
La coscienza, in particolare, è vista come un insieme di processi cognitivi e di rappresentazioni mentali che emergono dalle strutture e dalle attività cerebrali.
Dennett nega l'esistenza di un 'sé' o di un'entità centrale che controlla la mente e sostiene che la coscienza sia il prodotto di un processo di "narrazione" interna, attraverso il quale il cervello organizza e interpreta le informazioni provenienti dal mondo esterno e interno.
Volutamente non mi addentro sul terreno delle neuroscienze delle quali non sono assolutamente competente. Mi ha colpito, però, quanto scrive in un articolo recente su “Il Tascabile”, Riccardo Manzotti, professore ordinario di filosofia teoretica presso l’Università IULM di Milano: “Dal tempo delle ricerche pioneristiche dei grandi neurofisiologi tedeschi e italiani dell’Ottocento, si continua a cercare qualcosa che sia l’equivalente fisico della nostra coscienza. È stato trovato? No. […] A tutt’oggi non esiste una teoria che spieghi in modo comprensibile come e perché l’attività chimica ed elettrica di un sistema nervoso debba o possa diventare qualcosa di totalmente diverso come sensazioni, percezioni, emozioni e pensieri. La coscienza rimane un miracolo misterioso al pari della trasformazione dell’acqua in vino o la comparsa del genio allo strofinare della lampada di Aladino. […] L’orizzonte della coscienza rimane sempre irraggiungibile e, da un punto di vista empirico, nessun reale passo avanti è stato fatto.”
Coscienza come coscienza di sé
Un'altra accezione di 'coscienza' è l’'auto-coscienza', un livello profondo di consapevolezza di sé.
Questa dimensione della coscienza implica non solo la percezione delle proprie sensazioni ed emozioni, ma anche la capacità di riflettere su di esse e di attribuirsi un'identità personale. Siamo, quindi, a un livello superiore di riflessione e auto-percezione.
John Locke, filosofo inglese del XVII secolo, nel suo "Saggio sull'intelletto umano", affronta il tema della coscienza e, in particolare, della coscienza di sé, che egli ritiene essere un aspetto fondamentale dell'esperienza umana e della costituzione dell'identità personale.
Per Locke, la coscienza di sé non è un'entità o una sostanza separata dal corpo e dal mondo esterno, ma è il risultato di un processo di riflessione e di auto-percezione.
La mente umana, secondo Locke, ha due facoltà principali: la percezione, che ci permette di acquisire informazioni sul mondo esterno attraverso i sensi, e la riflessione, che ci consente di percepire e di esaminare le nostre stesse idee e operazioni mentali.
La coscienza di sé, in questo senso, è il prodotto della riflessione, che ci permette di essere consapevoli non solo delle nostre sensazioni ed emozioni, ma anche delle nostre azioni, pensieri e decisioni.
La coscienza di sé, per Locke, è anche strettamente legata alla memoria e all'identità personale.
Egli sostiene che la nostra identità non è data da un'essenza o da una sostanza immutabile, ma è il risultato della continuità e della coerenza delle nostre esperienze e dei nostri ricordi.
La coscienza di sé, in quanto ci permette di essere consapevoli delle nostre azioni passate e di attribuircele, è un elemento fondamentale di questa continuità e di questa identità.
Questa concezione, che pone l'accento sul ruolo dell'esperienza e della riflessione nella costituzione del sé, ha avuto un'influenza significativa sulla filosofia moderna e sulle scienze cognitive.
La ‘coscienza di sé’ è stata esplorata in maniera interessante per noi anche da Jean-Paul Sartre, filosofo francese del XX secolo e principale esponente dell'esistenzialismo.
Per Sartre, la coscienza di sé è un aspetto centrale e costitutivo dell'esperienza umana e della libertà individuale.
Sartre distingue tra due forme di coscienza: la coscienza non-riflessiva (o pre-riflessiva) e la coscienza riflessiva.
La coscienza non-riflessiva è la forma di consapevolezza immediata e diretta che caratterizza la nostra interazione con il mondo e con gli oggetti che lo popolano. Quando, ad esempio, siamo impegnati in un'attività o siamo assorti nella contemplazione di un paesaggio, la nostra coscienza è rivolta verso l'oggetto o l'attività in questione, e non verso noi stessi.
La coscienza riflessiva, invece, è la forma di consapevolezza che si instaura quando la coscienza prende se stessa come oggetto, diventando così consapevole di sé stessa. Quando, ad esempio, ci fermiamo a riflettere sulle nostre azioni, pensieri o emozioni, la nostra coscienza si divide in due: da un lato, c'è la coscienza che è consapevole dell'oggetto in questione (ad esempio, un'emozione), e dall'altro, c'è la coscienza che è consapevole di quella prima coscienza (cioè, siamo consapevoli di essere consapevoli dell'emozione).
Per Sartre, la coscienza riflessiva e la coscienza di sé sono strettamente legate alla nozione di libertà.
Egli ritiene che la coscienza umana sia fondamentalmente libera, in quanto non è determinata da cause o leggi esterne, ma è in grado di scegliere e di creare se stessa e il proprio mondo.
La coscienza di sé, in quanto ci permette di essere consapevoli delle nostre scelte e di assumercene la responsabilità, è un elemento essenziale di questa libertà e della nostra condizione di esseri umani.
Questa concezione, che pone l'accento sul ruolo della coscienza e della libertà nella costituzione del sé, ha avuto un'influenza profonda sulla filosofia contemporanea e sulle scienze umane.
Coscienza come coscienza morale
Il termine ‘coscienza’ in italiano ha anche una forte connotazione morale. Questa accezione si riferisce alla capacità di discernere il bene dal male e di agire in conformità con principi etici e morali.
La coscienza morale è una guida interna che ci aiuta a valutare le nostre azioni e decisioni.
La filosofia morale ha a lungo indagato la natura e il ruolo della ‘coscienza morale’.
Nel pensiero di Immanuel Kant, filosofo tedesco del XVIII secolo, che ha dato un contributo fondamentale alla filosofia morale - in particolare con la sua teoria dell'etica deontologica - il concetto di coscienza morale riveste un ruolo centrale e fondamentale.
Per Kant, la coscienza morale è la facoltà che ci permette di distinguere tra il bene e il male e di agire in conformità con i principi morali.
La coscienza morale, in questo senso, è strettamente legata alla ragione e alla legge morale universale, che Kant chiama "imperativo categorico".
L'imperativo categorico prescrive di agire sempre in modo tale che la massima (ovvero, il principio o la regola) della nostra azione possa essere elevata a legge universale, senza contraddizioni.
La coscienza morale, per Kant, non è solo una guida per l'azione, ma è anche un giudice interiore che valuta le nostre azioni e le nostre intenzioni alla luce dell'imperativo categorico.
Quando agiamo in conformità con la legge morale, la coscienza morale ci approva e ci fa sentire un senso di soddisfazione e di autostima; quando, invece, agiamo contro la legge morale, la coscienza morale ci condanna e ci fa provare un senso di colpa e di vergogna.
Kant ritiene che la coscienza morale sia un aspetto universale e necessario dell'esperienza umana, e che sia indipendente dalle inclinazioni, dalle preferenze personali e dalle circostanze esterne.
La coscienza morale, in quanto espressione della ragione e della legge morale universale, ci obbliga a rispettare e a promuovere la dignità e l'autonomia di tutti gli esseri umani.
A cosa ‘serve’ la riflessione sulla coscienza
La coscienza rimane un mistero affascinante e sfuggente, che continua a ispirare e a sfidare la nostra comprensione. E forse, proprio in questa tensione tra ciò che sappiamo e ciò che non sappiamo, risiede la vera essenza della coscienza: un'apertura costante e meravigliata verso il mondo e verso noi stessi.
Ciò nonostante, fermarsi sul significato della parola ‘coscienza’ e sulle sue diverse manifestazioni può essere utile sia sul piano personale che su quello professionale.
Comprendere cosa si intende per coscienza e il ruolo che essa svolge ci dà maggiore consapevolezza di come ‘funzioniamo’, di come pensiamo e orientiamo le nostre azioni e le nostre relazioni con gli altri.
Sul piano personale, la riflessione sulla coscienza di sé ci invita a esplorare la nostra identità, i nostri valori e le nostre aspirazioni.
La coscienza di sé, come descritta da John Locke, è il prodotto di un processo di riflessione e di auto-percezione, che ci consente di essere consapevoli non solo delle nostre sensazioni ed emozioni, ma anche delle nostre azioni, pensieri e decisioni.
Coltivare la nostra coscienza di sé ci aiuta a vivere una vita più autentica, coerente e appagante.
La riflessione sulla coscienza morale, invece, ci guida nella distinzione tra il bene e il male e ci spinge a agire in conformità con i nostri principi e valori etici.
Come sostenuto da Immanuel Kant, la coscienza morale è strettamente legata alla ragione e alla legge morale universale, e ci obbliga a rispettare e a promuovere la dignità e l'autonomia di tutti gli esseri umani.
Sviluppare una maggiore consapevolezza della nostra coscienza morale ci aiuta a essere persone più etiche e responsabili.
Sul piano professionale, la riflessione sulla coscienza è essenziale per sviluppare competenze e abilità fondamentali.
La coscienza di sé, ad esempio, è alla base di una serie di competenze emotive e sociali, come l'empatia, la comunicazione efficace e la leadership.
La coscienza morale, invece, è fondamentale per prendere decisioni etiche e responsabili, consapevoli dell’impatto che esse generano e per contribuire a creare business che guardano al bene comune e ambienti di lavoro equi e inclusivi.