Emozioni, la chiave per comprendere il mondo

condividi l'articolo su:

Le emozioni possono guardate come una debolezza o come qualcosa da esibire a beneficio di un pubblico goloso. Noi pensiemo che siano la chiave di accesso alla comprensione di noi stessi e del mondo.

Ma cosa sono le emozioni?

Breve storia sulle emozioni

La parola ‘emozione’ è relativamente recente, ma il concetto a cui si riferisce ha radici remote.

Nella filosofia antica, le emozioni erano frequentemente considerate come elementi irrazionali da controllare o reprimere. Platone, ad esempio, le vedeva come legate al corpo e quindi ostacoli alla ragione, mentre gli Stoici e gli Epicurei sostenevano che per vivere serenamente fosse necessario liberarsene.

Aristotele, al contrario, riconosceva un valore alle emozioni, sostenendo che la loro gestione razionale potesse elevare l'uomo a un "animale razionale sociale". Secondo Aristotele, le emozioni non sono solo impulsi ma possono essere controllate dalla ragione per rispondere adeguatamente agli stimoli esterni.

Per molti secoli, quindi, le emozioni venivano chiamate ‘passioni’, dal greco paschein e dal latino pati, che significano ‘patire’.

Il termine ‘passione’ rimanda a uno stato di passività, alla convinzione che l'anima fosse vittima di ciò che il corpo provava, come descritto da Cartesio nel suo “Trattato sulle passioni dell'anima”. Questo concetto di passività ha alimentato un pregiudizio nei confronti del corpo, visto come un ostacolo alla libertà dell'anima, come se ciò che sentiamo ci allontanasse dalla nostra pienezza intellettuale e spirituale.

Nonostante questo pregiudizio, filosofia e medicina si sono sempre interessate allo studio delle emozioni.

Da un lato, la filosofia ha sviluppato un sistema di virtù e vizi per categorizzare le emozioni, dall’altro la medicina, con la teoria degli “umori” di Ippocrate, ha legato gli stati d'animo alla composizione del corpo umano e in particolare alla proporzione tra quattro sostanze elementari – gli umori – dalle quali si riteneva dipendessero le inclinazioni personali e gli stati d'animo.

Nel XVII secolo, Baruch Spinoza cercò di liberare il concetto di emozione dal connotato di passività, introducendo un termine nuovo, "affetto" (affectus) . Egli sosteneva che le emozioni fossero una componente essenziale per la conoscenza del mondo e che non dovessimo diffidare di ciò che il nostro corpo ci comunica. Mente e corpo non sono entità separate, ma lavorano insieme per formare la nostra esperienza emotiva.

L'idea che le emozioni siano reazioni corporee trovò sostegno nel lavoro di Thomas Willis, un medico londinese contemporaneo di Spinoza che, attraverso il suo lavoro di ricerca sperimentale ipotizzò che esse fossero generate dal sistema nervoso, eliminando la necessità di riferirsi a concetti come l'anima o i temperamenti.

Il termine 'emozione', come lo conosciamo oggi, è stato introdotto solo nel XIX secolo, in un’epoca in cui la scienza cercava di catalogare e comprendere ogni aspetto della vita umana, inclusi i sentimenti.

La parola 'emozione', quindi, iniziò ad essere usata con maggiore frequenza per distinguere queste reazioni dalle 'passioni' e dai 'sentimenti'.

L'emozione, rispetto al sentimento - che è ciò che noi proviamo in maniera cosciente - è vista come qualcosa di più immediato e fisico, spesso accompagnata da un'espressione visibile, come un cambiamento nell'espressione del volto o nel linguaggio del corpo.

Oggi, filosofi contemporanei come Martha Nussbaum hanno contribuito significativamente a una nuova comprensione delle emozioni.

Nussbaum,  opponendosi alle visioni razionaliste che relegano le emozioni a un ruolo secondario o negativo, sostiene che le emozioni sono essenziali per il ragionamento etico e non solo reazioni irrazionali.

La sua tesi centrale è che le emozioni forniscano una forma di intelligenza umana necessaria per comprendere la realtà e prendere decisioni morali.

Un aspetto distintivo del pensiero di Nussbaum è l'accento sulla fragilità umana. Le emozioni sono presentate come espressioni della nostra vulnerabilità rispetto alla realtà esterna, suggerendo che riconoscere e affrontare questa fragilità è fondamentale per una vita etica e significativa.

Le emozioni, quindi, non solo arricchiscono la nostra esperienza umana ma ci connettono anche agli altri, rendendo possibile l'empatia e la compassione.

Il pensiero di Martha Nussbaum ha trasformato la visione delle emozioni nella filosofia, spostando l'attenzione da una concezione negativa a una comprensione più integrata e positiva. Le sue idee hanno aperto nuove strade per esplorare il ruolo delle emozioni nel ragionamento etico, sottolineando l'importanza di riconoscere la loro complessità e rilevanza nella vita umana.

Le emozioni, però, sono un campo così delicato che la loro classificazione rimane ancora oggetto di dibattito. Molti psicologi evolutivi concordano sull'esistenza di alcune emozioni fondamentali, anche se il loro numero varia da sei a otto. In genere, queste emozioni includono disgusto, sorpresa, paura, rabbia, felicità e tristezza. L'amore, invece, non figura tra queste, essendo considerato troppo legato a rituali socioculturali specifici.

Emozioni, cultura ed esperienza

Non possiamo comprendere appieno le emozioni senza considerare il contesto culturale in cui viviamo. Le emozioni non sono solo una risposta biologica; sono anche il prodotto delle nostre credenze, dei nostri valori, e delle norme sociali che ci circondano.

Ogni cultura ha il suo vocabolario emotivo e il suo modo di esprimere i sentimenti. In alcune culture, esistono quindici diverse parole per descrivere la paura, mentre altre culture non hanno nemmeno una parola per ‘preoccupazione’. Questo ci fa riflettere su quanto il nostro modo di sentire e interpretare le emozioni sia modellato dalla società in cui viviamo.

Infine, se guardiamo le emozioni da una prospettiva storica, vediamo come i loro significati si siano evoluti nel tempo. Le emozioni che oggi consideriamo fondamentali, come l'amore e la paura, non sono sempre state percepite allo stesso modo. Anche all'interno della stessa cultura, le emozioni possono essere interpretate in modi diversi a seconda del contesto storico.

E ancora, nonostante le diverse teorie e paradigmi che cercano di catalogare le emozioni, per ciascuno di noi sentimenti come la meraviglia, l'odio, l'amore, il desiderio, la gioia e la tristezza assumono significati profondamente personali. Sono legati a ricordi, esperienze e tracce uniche nella nostra memoria.

Tuttavia, nonostante il loro carattere intimo e privato, siamo capaci di riconoscere queste emozioni anche negli altri. Anzi, spesso siamo più abituati a leggere le emozioni nei volti delle persone che amiamo che nel nostro.

Le emozioni sono una lingua che apprendiamo sin dall'infanzia, osservando i volti di chi ci ama e si prende cura di noi. E per tutta la vita, qualcuno leggerà le nostre emozioni, anche quando non ce ne rendiamo conto. Esse ci permettono di comunicare attraverso un linguaggio universale, che ci accomuna agli altri, poiché le emozioni sono esperienze condivise.

Ogni emozione che proviamo ha una sua storia: una storia intrecciata a quella di chi l’ha vissuta prima di noi, l’ha espressa in parole, canzoni o poesie, e l’ha studiata. È una storia di trasformazione, che affonda le sue radici nella filosofia, che ha fornito strumenti per analizzarla, ma anche nella letteratura e nella poesia.

Vivere le emozioni

Le emozioni sono spesso soggette a una doppia censura. Da un lato, sono scoraggiate e viste come segno di debolezza, fonte di vergogna, poiché rivelano uno spaccato intimo e vulnerabile della nostra vita interiore. Dall’altro, vengono mostrate al limite dell’esibizionismo per saziare il proprio narcisismo e la curiosità altrui.

Ancora oggi, molti uomini trovano disdicevole mostrarsi in lacrime o sconvolti, ammettendo che la vita li destabilizza, anche se è una realtà che accomuna tutti.

Per molte donne, essere considerate "troppo emotive" rappresenta una continua erosione della loro autorevolezza, in famiglia, nel lavoro, nella politica, nei contesti pubblici. Anche quando vengono celebrate in relazione a una competenza chiave come l'empatia, le emozioni continuano ad essere viste come un tratto che, in fondo, indebolisce, sminuendo non solo chi le prova ma anche il valore dell'emozione stessa.

Quante volte ci imponiamo di soffocare un’emozione?

Lo facciamo per paura del giudizio altrui o perché non abbiamo imparato a comprendere appieno i nostri sentimenti, quasi come se il linguaggio emotivo ci fosse estraneo.

A volte, arriviamo persino a negare a noi stessi di aver provato un’emozione, per senso di colpa o per paura.

Siamo cresciuti imparando a diffidare delle emozioni, a considerarle estranee o pericolose, e per questo ci troviamo spesso disarmati quando dobbiamo affrontarle.

Ma anche il timore di apparire vulnerabili, l'imbarazzo di far emergere ciò che sentiamo, e persino l'invidia per chi sembra riuscirci con facilità, sono a loro volta emozioni.

E così, non avendo fiducia in ciò che sentiamo, finiamo per essere intrappolati in un vicolo cieco: da ciò che abbiamo represso nascono emozioni ancora più forti e persistenti, come la vergogna o la paura.

Queste emozioni, spesso chiamate, citando Spinoza, "passioni tristi", ci isolano, ci bloccano e ci impediscono di progredire, impedendoci di conoscerci davvero in profondità e, di conseguenza, di sperimentare una felicità autentica.

Per questo, forse, vale la pena tentare di conoscere meglio le nostre emozioni e quelle degli altri, anche quelle più scomode e dolorose. Comprenderle significa evitare che ci intrappolino o ci ricattino. Vale la pena cercare di uscire da uno stato di analfabetismo emotivo che spesso genera incomprensione e, a volte, anche violenza.

Perché sono proprio le nostre emozioni a darci la chiave per esplorare e comprendere il mondo, per evolvere.

Le emozioni che portiamo dentro di noi sono quello che ci fa riconoscere simili a tutti gli altri esseri umani e quello ci consente di intenderci anche con gli animali che ci sono più familiari così come di sentirci parte di un tutto più grande.

Mostrare le nostre emozioni e, attraverso di esse, la nostra vulnerabilità non significa essere fragili o instabili, ma piuttosto essere vivi, pronti a vivere l’esperienza e a lasciarsi stupire dal mondo. Significa cominciare a prendere coscienza della nostra interdipendenza. Per conoscere le nostre emozioni, infatti, abbiamo avuto bisogno di vederle manifestarsi negli altri e le abbiamo potute comprendere solo attraverso la relazione.

Emozioni: la forza dell’imperfezione e della vulnerabilità

Essere umani significa anche, inevitabilmente, essere imperfetti. Questa imperfezione non è soltanto una caratteristica che possiamo accettare a malincuore, ma è il fondamento della nostra condizione.

La nostra vulnerabilità ci accomuna tutti, e riconoscerci emotivi ci porta a riconoscere che non siamo autosufficienti.

Abbiamo bisogni profondi che ci ricordano, giorno dopo giorno, quanto sia importante il legame con gli altri e con il mondo che ci circonda. Questa consapevolezza è essenziale.

Le emozioni non sono semplici reazioni istintive o sentimenti transitori che ci attraversano e se ne vanno.

Sono il riflesso del nostro bisogno di connessione, di essere capiti, di appartenere a qualcosa di più grande di noi.

Nel nostro mondo, così spesso orientato all’efficienza e all’autonomia, ci viene detto che dobbiamo essere forti, indipendenti e capaci di gestire ogni situazione da soli.

Ma il riconoscimento dei nostri bisogni emotivi, e quindi della nostra vulnerabilità, è il vero atto di forza.

Le emozioni, infatti, ci mettono in contatto con la nostra natura più autentica.

Quando riconosciamo la nostra paura, la nostra tristezza o la nostra gioia, stiamo accettando che abbiamo dei bisogni che vanno oltre ciò che possiamo fare da soli. Abbiamo bisogno di conforto, di affetto, di comprensione.

Essere vulnerabili non è facile o privo di rischi, ma accettare la nostra fragilità ci permette di connetterci con gli altri in modo autentico.

Quando ci apriamo, quando permettiamo alle emozioni di emergere e di essere riconosciute, creiamo spazio per relazioni vere, fondate sulla comprensione reciproca.

Il fatto di avere bisogno degli altri non è un segno di fallimento, ma una realtà universale.

Vivere significa relazionarsi con il mondo e con le persone intorno a noi. Attraverso queste relazioni possiamo soddisfare reciprocamente i nostri bisogni emotivi. Nascondere le emozioni o soffocarle, invece, ci allontana dalla nostra natura umana e ci priva di esperienze significative.

Emozioni come bussola interiore

Le emozioni sono anche una bussola interna che ci guida nel nostro cammino.

La paura ci avverte dei pericoli, la tristezza ci segnala la perdita, la gioia ci indica ciò che è importante per noi.

Non sono nemici da combattere, ma segnali preziosi che ci permettono di orientare le nostre scelte.

Quando impariamo a riconoscere e ad ascoltare le nostre emozioni, diventiamo più consapevoli di noi stessi e del mondo che ci circonda.

Questo ci aiuta a crescere, a sviluppare una maggiore consapevolezza di ciò che ci serve per vivere una vita piena. Anche nelle emozioni più difficili, come la rabbia o la paura, c’è un messaggio che, se ascoltato, può aiutarci a comprendere meglio chi siamo.