Il Male, ci riguarda

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Il pensiero umano nella sua storia, attraverso la religione, la filosofia e la teologia, ha costantemente esplorato il concetto di 'Male', un'entità che da sempre suscita sentimenti di angoscia e tormento.

La sfida che il male rappresenta, per la ragione e la scienza, ha portato a vari approcci interpretativi, attribuendo la sua origine a numerosi e vari elementi come la volontà divina, i sentimenti morali, la struttura dell'universo, la libertà individuale, la ragione umana, la cultura, l'evoluzione biologica, l'architettura del cervello umano.

Come sempre la mia intenzione non è offrire una rassegna del Pensiero su un determinato tema – sarebbe infinitamente superiore alle mie capacità - ma offrire, con un percorso arbitrario e incompleto attraverso la storia del pensiero, un'occasione di confronto con i concetti dalla quale possano scaturire riflessioni in grado di orientare un agire dotato di senso.

Il Male nell'antichità

Le principali religioni e filosofie offrono visioni diverse sul male: il Zoroastrismo parla di un Dio del bene e di un Dio del male, il Buddhismo e il Taoismo guardano al dolore come parte integrante dell'esistenza umana, il Confucianesimo attribuisce il male alla materia, l'Islam lo collega alla ribellione di Satana, l'Ebraismo lo vede come conseguenza di una caduta primordiale e il Cristianesimo lo associa al peccato originale e alla redenzione.

In Occidente, già nell'antichità, autori come Omero, Esiodo e Sofocle avevano una profonda consapevolezza del male. La filosofia stoica sostiene che il male non esiste di per sé, ma è piuttosto una privazione del bene.

Socrate vedeva il male come ignoranza e mancanza di principi etici, mentre il bene era associato a conoscenza, cultura e sapienza. Socrate credeva che l'uomo, naturalmente incline alla felicità, possa raggiungerla solo attraverso la conoscenza del bene che conduce naturalmente a comportamenti virtuosi.

Egli credeva che nessuno compia il male intenzionalmente; piuttosto, le persone fanno scelte sbagliate perché non comprendono ciò che è veramente buono e giusto. Questa comprensione è possibile attraverso il dialogo, la riflessione personale e la consapevolezza interiore.

La visione del Male come 'privazione' e 'non-essere' del bene è condivisa da Platone, Aristotele e Sant'Agostino, per il quale il male è una corruzione del bene derivante da un uso improprio del libero arbitrio.

Nell'Induismo, il male è spesso visto come illusione (Maya) o ignoranza (Avidya). Nel Buddismo, il male è legato al concetto di Dukkha, la sofferenza causata dall'attaccamento e dal desiderio. Seguire il Nobile Ottuplice Sentiero consente di superare l'ignoranza e l'attaccamento.

Il Taoismo, con il suo fondatore Lao Tzu, vede il male come un disallineamento con il Tao, il cammino o principio universale.

Quindi, mentre la filosofia occidentale tende a concentrarsi sull'esistenza del male come problema ontologico o morale, la filosofia orientale spesso vede il male come una questione di allineamento spirituale o armonia con l'universo.

Il Male nell'Era Moderna

Male radicale

Arriviamo nell’Era Moderna. Nel suo testo "La religione entro i limiti della semplice ragione", Immanuel Kant introduce il concetto di "male radicale" nell'uomo. Questo non va inteso come una tendenza intrinsecamente malvagia, ma piuttosto come una propensione a dare priorità agli interessi personali e agli impulsi egoistici rispetto alla legge morale.

Per Kant, la legge morale è universale e necessaria, derivante dalla ragione pura. Il dovere di agire moralmente non dipende dalle inclinazioni o desideri personali, ma dall'obbligo di conformarsi a questa legge morale. Il male, quindi, emerge quando l'azione non è guidata dalla legge morale.

In questo contesto, il male in Kant non è una forza esterna o un'entità metafisica, ma piuttosto una deviazione dal percorso della ragione.

Il male, quindi, è strettamente legato alle capacità di autonomia, libertà e uso della ragione. Si manifesta quando si preferiscono le inclinazioni personali alla legge morale universale, ma è sempre possibile, attraverso la ragione, orientarsi verso il bene e allinearsi con i principi morali universali.

Male 'banale'

In tempi recenti Hannah Arendt, attraverso il suo pensiero, influenzato dai tragici eventi della seconda Guerra Mondiale, ridefinisce completamente il concetto di male.

Arendt ha cercato di capire la natura e le cause del male che si è manifestato nei regimi totalitari del XX secolo, come il nazismo e lo stalinismo, e nei loro responsabili, come Adolf Eichmann, il funzionario nazista che organizzò la deportazione degli ebrei nei campi di sterminio.

Il concetto di "banalità del male" che Hannah Arendt ha esplorato non si adatta a nessuna delle categorie classiche di male che conosciamo. Arendt ha scoperto qualcosa di diverso: come la coscienza personale delle persone può sparire quando si fondono in un gruppo, sotto la pressione della società.

Per Arendt, il male non è una forza metafisica o una sostanza, ma un fenomeno storico e sociale, che nasce dalla perdita della capacità di pensare e di giudicare.

Il male non è radicale, nel senso di avere una radice profonda e ineliminabile, ma banale, nel senso di essere superficiale e privo di profondità.

Il male non è il risultato di una volontà malvagia o di una passione criminale, ma dell’indifferenza e dell’obbedienza alle regole e alle ideologie imposte dal sistema. Atti malvagi possano essere compiuti da persone comuni che non mettono in discussione l'autorità o le convenzioni sociali.

"Banalità del male" significa che le persone possono fare cose orribili non perché sono di natura cattiva, ma perché non pensano abbastanza a ciò che stanno facendo, inconsapevolmente rinunciando alla propria libertà sollevandosi dalle responsabilità soggiacendo passivamente alla pressione sociale o all'autorità le spinge a comportarsi in un certo modo.

Questo fa scomparire la loro coscienza individuale e persino le persone istruite, che dovrebbero essere capaci di pensare autonomamente, cedono a questo tipo di pressione. Questo fenomeno, secondo Arendt, non è limitato a situazioni storiche particolari, ma è qualcosa di universale, che può accadere a chiunque.

Arendt suggerisce, inoltre, che anche se gli eventi storici, come le guerre o le rivoluzioni, possono sembrare improvvisi, c'è sempre un 'spirito del tempo' che li prepara.

Questo 'spirito del tempo' è il risultato di molte piccole azioni e abitudini individuali che, messe insieme, creano un cambiamento nella mentalità generale.

Questo cambiamento mentale non è qualcosa che le persone notano facilmente. Proprio come una persona che dimentica non si rende conto di aver dimenticato fino a che non ha bisogno di ricordare, anche la perdita della coscienza morale avviene gradualmente e senza che ci si renda conto.

L'analisi di Arendt ci sfida a riconsiderare le nostre nozioni di male e responsabilità. Ci invita a interrogarci non solo sulle azioni di coloro che commettono atti malvagi, ma anche sulle strutture sociali e politiche che facilitano tale assenza di pensiero critico.

Per Arendt, l’unico antidoto al male così inteso è il pensiero, ovvero il dialogo con se stessi e con gli altri, che permette di esercitare il giudizio e la critica.

Il pensiero è l’attività che ci rende capaci di distinguere il vero dal falso, il giusto dall’ingiusto, il bello dal brutto.

Il pensiero è l’attività che ci rende capaci di resistere alle ideologie e alle manipolazioni, e di affermare la propria libertà e la propria responsabilità.

Il pensiero è l’attività che ci rende capaci di riconoscere la dignità e la diversità di ogni essere umano, e di costruire una convivenza pacifica e democratica.

Male come esperienza e 'zona grigia'

Un altro contributo molto importante alla riflessione sul male è quello di Primo Levi, scrittore sopravvissuto all'Olocausto, che aveva una visione complessa e profonda del male, fortemente influenzata dalla sua esperienza nei campi di concentramento nazisti.

Il suo approccio al male non era astratto o filosofico nel senso tradizionale, ma piuttosto radicato in esperienze concrete di sofferenza umana e di atrocità.

Per Levi, il male assumeva molte forme, ma era in particolare incarnato dalle azioni e dalla burocrazia del regime nazista.

Egli ha descritto dettagliatamente come il sistema dei campi di concentramento fosse progettato non solo per uccidere, ma anche per umiliare, deumanizzare e distruggere lo spirito umano.

Levi non vedeva il male come un'entità astratta, ma come qualcosa di molto reale e concreto, manifestato attraverso azioni specifiche e sistemi di oppressione.

Un aspetto importante della visione del male proposta da Levi è il concetto di "zona grigia".

Questa idea emergeva dall'osservazione che, nelle condizioni estreme dei campi di concentramento, le linee tra vittima e carnefice potevano diventare sfocate. Levi esplorava come i prigionieri potevano essere costretti a compiere scelte morali impossibili e come alcuni potessero diventare collaboratori o Kapo, assumendo ruoli che li ponevano in una posizione di potere sugli altri prigionieri.

L’intento di Levi non era quello di dispensare giudizi morali semplicistici ma piuttosto quello di capire come persone ordinarie potessero essere trasformate in strumenti di un male enorme e  come le strutture del potere e la burocrazia potessero facilitare il male permettendo alle persone di distaccarsi dalle conseguenze delle loro azioni.

La riflessione sul male non si ferma a Arendt e Levi.

Anche altri pensatori hanno esteso questa comprensione alla società contemporanea. Ad esempio, Zygmunt Bauman, nel suo studio su modernità e Olocausto, sostiene che le strutture della modernità hanno reso possibile l'Olocausto.

Male come 'normalità'

La normalizzazione del male, secondo Bauman, si verifica quando le società creano condizioni che permettono agli individui di dissociarsi dalle conseguenze morali delle loro azioni.

Nel mondo contemporaneo, la normalità del male si manifesta in modi meno estremi ma altrettanto insidiosi.

Dalla discriminazione sistematica alla negligenza ambientale, gli atti di male possono diventare normalizzati attraverso la burocrazia, l'indifferenza culturale o la pressione sociale. Questo ci obbliga a considerare come le nostre strutture sociali e politiche possano contribuire o contrastare la diffusione del male.

Esplorando la 'normalità del male' attraverso le lenti di Arendt, Levi e altri, emergono domande fondamentali sulla natura umana e sulla società che ci sfidano a riconoscere come il male possa insinuarsi nella vita quotidiana e a riflettere su come possiamo resistere e prevenire la sua normalizzazione.

La normalizzazione del male nella società può essere collegata alle “passioni tristi”, ovvero quegli stati emotivi che diminuiscono la nostra capacità di agire e comprendere il mondo intorno a noi?

Passioni tristi

È Baruch Spinoza, filosofo olandese del XVII secolo, a introdurre il concetto di passioni tristi nel suo lavoro "Etica".

Per Spinoza, le passioni tristi, come l'invidia, la paura e l'odio, sono stati emotivi che derivano dalla nostra incapacità di comprendere pienamente noi stessi e il mondo.

Queste passioni riducono la nostra potenza di agire e ci rendono vulnerabili al controllo e alla manipolazione.

Negli anni recenti Miguel Benasayag, filosofo e psicanalista argentino rifugiato a Parigi, ha ripreso e sviluppato ulteriormente queste idee, collegandole alle dinamiche sociali e politiche moderne.

Secondo Benasayag, le passioni tristi sono presenti in forme di disperazione, rassegnazione e cinismo che osserviamo crescere nella società odierna. Queste emozioni, secondo lui, sono il risultato di sistemi sociali che promuovono l'isolamento, la competizione e l'incertezza.

La normalità del male, come descritta da Arendt e Levi, può essere vista come un fenomeno che si nutre delle passioni tristi.

La burocrazia, la routine e l'indifferenza che consentono al male di diventare ‘normale’ si rafforzano attraverso le emozioni negative che riducono la nostra capacità di agire contro l'ingiustizia.

Ad esempio, la paura e l'apatia possono portare le persone a ignorare o accettare passivamente comportamenti immorali e sistemi oppressivi.

Nel contesto moderno, la proliferazione di notizie negative, la pressione dei social media e le aspettative irrealistiche possono alimentare le passioni tristi, rendendo più difficile per gli individui resistere e agire contro il male normalizzato. La società contemporanea, con la sua enfasi sull'individualismo e la competizione, può creare un terreno fertile per le passioni tristi, indebolendo la coesione sociale e la solidarietà necessarie per combattere il male.

Idealità e valori

Un ultimo cenno mi sento di farlo al pensiero di Roberta De Monticelli, filosofa italiana contemporanea, della quale non è facile riassumere il pensiero in poche righe senza banalizzare.

Voglio, per questo, citarne direttamente alcuni passi. "Il fenomeno dell’erosione dell’idealità è dilagante, e la sua profondità e vastità ci impedisce forse di prenderne veramente coscienza: perché ci nuotiamo dentro, come pesci nell’acqua. [...] Questo fenomeno è l’appiattimento del dover essere sull’essere, del valore sul fatto, della norma sulla pratica comune anche se abnorme, e in definitiva del diritto sul potere. «Tutto quel che è reale è razionale», dice il filosofo che dà ragione alla forza, purché vinca. «Tutto quello che è reale è normale», dice il cinismo, che ha permeato il linguaggio comune, popolare.

Alla parola 'normalità', nel suo uso corrente, non è rimasta piú neppure una traccia di quello fra i suoi significati che discendeva direttamente dalla parola 'norma'. Normale è ciò che si fa, in particolare contro le norme. [...] Ma una cosa che non è come dovrebbe essere non è un bene, e una cosa che è come non dovrebbe essere è un male: uno degli infiniti, piccoli, grandi o grandissimi mali di cui facciamo esperienza quotidiana – come quotidianamente facciamo esperienza anche di molti beni, dal buon caffè del mattino al privilegio di un po’ di tempo libero o di un buon lavoro. Ci sono tanti beni e mali, e di tante specie, quante sono le qualità di valore positivo o negativo delle cose.

Cosí abbiamo ricondotto la nozione di ideale a quella di valore. [...] Questo male che riguarda la sfera dell’etica pubblica è effettivamente una riduzione del valore della vita di ognuno, precisamente in base alla circostanza che alcuni ne sono beneficiari in violazione dei diritti di altri. Vale a dire, il male pubblico è male comune in quanto aumenta l’ingiustizia. E l’ingiustizia è il massimo male comune, perché riduce il massimo valore che una società può realizzare come tale, cioè attraverso le sue istituzioni, i suoi costumi, i comportamenti reciproci dei suoi membri: offrire a ciascuno di essi pari opportunità di fioritura personale".

Una Via d'Uscita: Giustizia nei Diritti Universali, Comprensione e Azione

Per quanto detto finora, credo che una prima direzione da intraprendere 'verso l'uscita' sia l'affermare, promuovere e perseguire la giustizia, intesa come un riconoscimento profondo dell'altro in quanto essere umano. Questo, quindi, non solo in termini legali o formali, ma come una comprensione empatica e responsabile dell'altro come persona. La giustizia, in questo senso, costituisce un impegno etico che trascende la semplice applicazione di leggi e regole pur senza tralasciare di esigere e sostenere leggi 'giuste' e dalla giusta applicazione.

I Diritti Universali, in tal senso, sono 'Fondamentali' per la Dignità Umana e vanno sia come costruzioni legali a garanzia di tutti gli essere umani, sia come manifestazione del riconoscimento della nostra profonda interconnessione e responsabilità reciproca in quanto esseri umani. 

Si tratta, quindi, anche di dare importanza alla soggettività e all'esperienza personale nella comprensione della giustizia e dei diritti universali. Non considerare questi concetti solo in termini astratti o universali, ma vederli e comprenderli nel loro essere interpretati e incarnati dagli individui nelle loro realtà quotidiane senza rassegnarsi alle passioni tristi.

Secondo Spinoza, la via d'uscita dalle passioni tristi è la comprensione: riconoscere e comprendere le nostre emozioni e il mondo che ci circonda.

L'empatia, allora, è un antidoto chiave contro le passioni tristi. L'empatia, intesa come la capacità di comprendere i sentimenti altrui, può contrastare l'isolamento, l'indifferenza e il narcisismo che alimentano queste passioni negative.

E anche l'approfondimento della consapevolezza di sé e la valorizzazione della propria esperienza individuale costituiscono un modo per superare le passioni tristi. Un processo che include l'accettazione della propria vulnerabilità e la riscoperta del senso di meraviglia verso il mondo e gli altri.

Miguel Benasayag, nel suo approccio alla questione delle passioni tristi, suggerisce che l'antidoto a questi stati emotivi negativi risiede nel riconoscere e valorizzare l'azione concreta e l'impegno nel mondo reale e ci fornisce alcuni principi chiave:

  • agire concreto nella realtà. Impegnarsi in azioni reali e tangibili ci consente di non rimanere intrappolati in stati di passività, disperazione o apatia. L'azione è un mezzo per superare l'impotenza e per generare un cambiamento positivo, sia a livello personale che collettivo.
  • Connessione con gli altri. Un antidoto alle passioni tristi è la costruzione di relazioni significative e l'impegno nella comunità. La connessione con gli altri non solo fornisce supporto e solidarietà, ma anche un senso di appartenenza e di scopo, elementi fondamentali per contrastare sentimenti come l'isolamento e la solitudine.
  • Riconoscimento della complessità e delle sfide. Benasayag sottolinea la necessità di riconoscere e accettare la complessità del mondo e le sfide che esso presenta. Questo approccio realistico permette di essere resilienti nelle difficoltà evitando l’illusione di soluzioni semplici o immediate.
  • Rifiuto del perfezionismo e dell'idealismo eccessivo. Entrambi possono essere paralizzanti e, limitando la nostra capacità di agire nel mondo imperfetto in cui viviamo, alimentare le passioni tristi. Accettare l'imperfezione del mondo e delle persone è cruciale per potersi impegnare in modo costruttivo e realistico.
  • Valorizzazione dell'esperienza personale e della soggettività. Questo implica riconoscere e dare valore alle proprie emozioni ed esperienze e alla propria storia personale, anziché negarle o svalutarle.

In sintesi

Per affermare il bene nel suo conflitto perenne e ineludibile con il male, ci è possibile coltivare il pensiero critico, la riflessione e il dialogo interiore dedicandosi attivamente ad aumentare la nostra conoscenza e comprensione, sia di noi stessi che della realtà sociale?

Ci è possibile aprirsi alla meraviglia, all’empatia e alle relazioni accettando la propria vulnerabilità?.

Ci è possibile impegnarsi ogni giorno per la giustizia: leggi giuste applicate sempre e in maniera giusta in grado di garantire e mantenere i diritti universali a tutti gli esseri umani?

Ci è possibile nutrire il senso di comunità, la solidarietà e la ricerca di valori condivisi?

Noi crediamo che, si, che tutto questo sia nelle nostre possibilità.