Nella crisi scelgo la Pace

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Crisi in greco antico significa un gran numero di cose tra cui: separazione, scelta, giudizio. Il verbo, κρίνο, vuol dire anche decidere.

In medicina si parla di giorno critico o di giorni critici: per Ippocrate (e per Galeno nel secondo secolo d.C.) è l’ora in cui la malattia si decide: o precipita nella morte o s’affaccia alla ripresa.

È il punto di passaggio, di svolta. In greco, andare incontro al giudizio è letteralmente «entrare nella κρίσις», nel processo. Al tempo stesso crisi è intelletto all’opera: «L’uomo che non ha alcuna crisi non è in grado di giudicare nulla», scrive Johann Heinrich Zedler nell’Universal-Lexikon del 1737.

È vero siamo da anni dentro una terribile crisi sistemica, il Pianeta e i suoi abitanti sono nei giorni in cui la malattia si decide.

E in aggiunta, al 21 settembre 2023 giornata mondiale della pace, nessun continente risultava estraneo a conflitti armati e violenze. Le guerre in corso sembravano essere 59. Un numero che corrisponderebbe al livello più alto dal 1945. Nel 2022, l’Onu ha mappato la presenza di circa 2 miliardi di persone che vivevano in aree interessate da scontri armati. (fonte La Repubblica).

Una di queste guerre è da più di un anno e mezzo in Europa, la guerra rosso-ucraina che non mostra possibilità di terminare a breve e che continua a mietere vittime anche tra i civili (ma veramente le vite dei militari valgono di meno?).

Una guerra che è passata in secondo piano perché da poco più di due settimane, un'altra guerra è scoppiata vicinissima.

Su questa non mi sento di dire nulla se non che è terribile e che mi sento di stare solo dalla parte delle vittime sposando completamente quanto scritto da Luigi Manconi il 25 ottobre su La Repubblica in un articolo dal titolo "Medio Oriente, dalla parte delle vittime" che vale la pena di leggere per intero.

"È possibile disertare? Non intendo dire restare indifferenti o assumere una posizione equidistante, bensì sottrarsi alla logica bellica degli opposti schieramenti in campo — filopalestinese, filoisraeliano — e adottare un punto di vista che vada oltre questa tragica spirale di morte.[...] 

Ciò che davvero conta è 'l’autorità dei sofferenti', di cui scriveva Johann Baptist Metz. Non la sofferenza come astrazione o categoria ideologica, come fattore statistico o contabilità funebre. Ma la sofferenza dei corpi straziati di esseri umani che sono solo ed esclusivamente esseri umani.

Questo non significa ignorare la storia e la geografia e le dinamiche politico-diplomatiche: si tratta piuttosto di constatare che siamo precipitati in una dimensione che eccede tutto questo e che si presenta come dis-umana, dove serve qualcosa di più dei consueti strumenti di analisi e di intervento. E dove tutti dovremmo essere capaci di andare oltre la miseria degli schieramenti convenzionali e della logica marziale, o di qua o di là: quella che sempre impone di sacrificare un pezzo di umanità a vantaggio di un altro pezzo di umanità".

Di fronte al senso di impotenza, all'involontario 'nutrire la disperazione' che facilmente ci cattura, voglio invece nutrire la speranza, una speranza attiva.

Nel prendere con determinazione - in questo caso si -  una tale posizione, mi è tornato in mente un mio breve articolo pubblicato anni fa su Yoga Journal, dove all'epoca tenevo una piccola rubrica. ve lo ripropongo nella sua attualità.

Pace e quiete

Ecco cosa scrive Raimon Panikkar – una delle voci più autorevoli e miti del nostro tempo - in "Pace e interculturalità" (Jaca Book, Milano 2002).

"La pace non altera il ritmo della realtà. Non è statica, né dinamica. Non è nemmeno un movimento dialettico. E non significa assenza di forze o di polarità. L'Essere è ritmico, è ritmo, integrazione a-dualista del movimento e del riposo. La cultura tecnocratica occidentale, coltivando l'accelerazione, ha sconvolto i ritmi naturali: è senza pace […]

Ma se la pace interna sussiste c'è ancora speranza. D'altronde non si può godere di una pace interna se il nostro ambiente umano ed ecologico è vittima di violenze e di ingiustizie. In tal caso la pace interna è un'illusione".

In queste parole colpiscono due affermazioni.

La prima: la pace è in sintonia con la realtà e con l’Essere, se si alterano i loro ritmi naturali si è senza pace.

Questo ha a che fare con la pace interna, per questa individualmente possiamo lavorare e, con la pratica della filosofia, della meditazione, dello yoga e delle altre discipline che ri-connettono, possiamo conseguire buoni risultati.

La seconda: la pace interna è un’illusione senza pace esterna.

Allora, scoprendo i nostri talenti unici e dando loro la dignità dell’agire, possiamo lavorare perché un giorno dall’ambiente - insieme inscindibile e interconnesso di umano e naturale - scompaiano violenze e ingiustizie.

Senza andare lontano o compiere azioni eroiche, ma perseguendo singolarmente e favorendo ed esigendo dialogo e relazioni 'di pace' tra tutte le persone e tra queste e le istituzioni e organizzazioni, senza negligenza e senza valutare il solo vantaggio personale.

Riscoprire l’impegno a cambiare ciò che nel mondo è ingiustizia e violenza non solo cambiando 'internamente' ma assumendo una, anche 'minima', responsabilità concreta e visibile.

Ci dice ancora  Pannikkar "Se quello che devo fare  non lo faccio […] non lo farà nessuno e resterà un buco nella realtà, per sempre".

Nella crisi, nel momento più tragico, non lasciamoci andare alla stanchezza, all'istinto di rinuncia a lottare, a chiedere e a chiedersi cose diverse e migliori ma agiamo - in tutti i modi nei quali possiamo - per non lasciare nella realtà, per sempre, il buco corrispondente al nostro mancato impegno.