Potere, intersezione di due significati

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La parola che voglio esplorare questo mese è ‘potere’, un concetto centrale della filosofia, della politica e della sociologia. 

Proprio per questo, ritengo troppo complesso - e in fondo anche superfluo - proporre, in merito, il mio consueto ‘viaggio’ attraverso la storia del Pensiero fino ad oggi.

Inviterò, quindi, a guardare al potere da una prospettiva particolare e circoscritta.

Qualche anno fa, tra le attività di quella che al tempo, tra le iniziative di Bottega Filosofica, avevamo chiamato “Scuola popolare di filosofia”, in una serata estiva avevamo affrontato, con il metodo del dialogo filosofico, il tema del potere.

In quell’occasione si manifestò subito una dicotomia. La maggioranza dei presenti, al momento in cui le fu richiesto “Che esperienza hai del potere?”, rispose in un modo che potremmo sintetizzare così “Io non ho potere perchè ce l’hanno gli altri (soprattutto i politici e la finanza) e rispetto al loro operato io sono impotente”.

Qualcun altro, invece, disse qualcosa come “Il termine ‘potere’ contiene anche una potenzialità, una possibilità dell’essere, che posso realizzare a partire da me”. 

Viene in mente il termine ‘empowerment’ del quale oggi si fa molto uso senza che ne esista in italiano una traduzione efficace. L’Oxford Dictionary ne dà questa  definizione “La conquista della consapevolezza di sé e del controllo sulle proprie scelte, decisioni e azioni, sia nell'ambito delle relazioni personali sia in quello della vita politica e sociale”. 

Massimo Bruscaglioni - uno dei padri della formazione degli adulti in Italia - esprime un concetto simile con il neologismo “possibilitazione” che, in un articolo del 2009 per la rivista FOR, descrive così “Possibilità, possibilitàrsi, raggiungere, prima di tutto dentro di sé, stati di multipossibilità: e poter quindi scegliere e sentirsi, almeno in una certa misura, responsabili e protagonisti di se stessi. A fronte di tanti nuovi problemi, opportunità, interrogativi, introdotti dalla modernità, è evidente che sono necessari nuovi strumenti concettuali. Possibilitazione é uno di questi. [...] Alla lettera possibilitazione significa apertura di una nuova possibilità positiva che la persona apre dentro di sé arrivando fino alla sua iniziale sperimentazione operativa”.

Nel ‘500, il secolo in cui fioriscono le arti, le scienze, la filosofia – pensiamo solo a Michelangelo e a Caravaggio, a Leonardo, a Campanella e a Giordano Bruno – la categoria dell’essere era strettamente legata a quelle della conoscenza e della possibilità. La triade esse, nosse, posse era considerata inscindibile e costituiva un principio fondante per la piena realizzazione dell’uomo rinascimentale.

Il termine latino nosse (conoscenza) non indica la semplice acquisizione di nozioni ma una formazione dell’uomo, un processo di sviluppo e di crescita, che, interagendo con il suo essere più profondo, lo trasforma come persona. Posse è composto da potis (padrone) ed esse (essere) e significa, quindi, “essere padrone di se stesso”. Inoltre potere, da cui posse, dà origine anche a petere = dirigere. Nell’accezione latina posse indica ciò che un essere può realizzare, nell’unità di corpo e mente, consapevole del proprio scopo (telos) inteso anche come potenzialità. 

Potere quindi significa ciò che può essere e sta ad indicare l'autentica espressione di sé.

Quando si parla di potere come possibilità, inoltre, emerge una dualità intrinseca che viene ben messa in evidenza nella lingua inglese nella quale ‘can’ indica la capacità di essere capace mentre ‘may’ implica una autorizzazione, un permesso. 

Il termine potere, quindi, indica allo stesso tempo una capacità e un permesso.

Potere come ‘permesso di’ e ‘capacità di’

Il potere inteso come ‘permesso di’ si riferisce alla possibilità, concessa a un individuo o a un'entità, di agire in un determinato modo all'interno di un contesto sociale, politico o legale.

Questo tipo di potere è intrinsecamente legato alla struttura e all'organizzazione della società e si manifesta attraverso le leggi, le regolamentazioni e le norme che definiscono cosa sia permesso e cosa no. Il potere, in questo senso, è attribuito dall'esterno: è un'autorizzazione concessa da un'autorità superiore, che può essere uno stato, un'organizzazione o qualsiasi altro tipo di sistema gerarchico.

Per esempio, in una democrazia, il potere legislativo ha il ‘permesso di’ creare leggi che influenzano la vita dei cittadini; allo stesso modo, in un contesto aziendale, un/una manager ha il ‘permesso di’ prendere decisioni che riguardano il funzionamento dell'azienda e il benessere delle persone che lavorano al suo interno.

Questa concezione di potere è profondamente legata alla legittimità e all'autorità: chi ha il ‘permesso di’ agire in un certo modo di solito lo ottiene attraverso processi accettati socialmente, come elezioni, nomine o attraverso sistemi di regole prestabiliti.

Dall'altra parte, il potere inteso come ‘capacità di’ si concentra sull'abilità o sulla forza che un individuo o un gruppo possiede per realizzare qualcosa, indipendentemente dal permesso o dall'autorizzazione esterna.

Questa interpretazione del potere evidenzia il potenziale intrinseco e le risorse personali, come la forza fisica, l'intelligenza, la conoscenza o la capacità di persuasione. In questo senso, il potere è qualcosa che scaturisce dall'interno e si manifesta attraverso l'azione diretta.

Confronto e interazione

Le due concezioni di potere, sebbene distinte, non sono mutuamente esclusive e spesso interagiscono e si influenzano reciprocamente nella pratica.

Il ‘permesso di’ può espandere o limitare la ‘capacità di’ di un individuo o di un gruppo, mentre la ‘capacità di’ può sfidare o rinegoziare i limiti del ‘permesso di’.

Questa dinamica è evidente nei movimenti sociali, dove il potere come ‘capacità di’ (ad esempio, la capacità di mobilitarsi e protestare) può portare a un cambiamento nelle strutture di potere formali, ridefinendo ciò che è ‘permesso’ all'interno di una società.

Intersezione e complessità

Esplorare le differenze tra il potere come ‘permesso di’ e il potere come ‘capacità di’ offre una visione più ricca e sfumata delle dinamiche di potere nella società.

Mentre il ‘permesso di’ riflette le strutture e le autorizzazioni formali che governano l'azione, la ‘capacità di’ sottolinea l'agire autonomo basato sulle risorse personali o collettive. 

Capire come questi due aspetti del potere si intrecciano e si influenzano a vicenda è fondamentale per analizzare e comprendere le relazioni di forza che caratterizzano ogni livello della società, dalle interazioni personali fino ai rapporti internazionali.

L'intersezione tra il potere come ‘permesso di’ e il potere come ‘capacità di’ illustra la complessità delle dinamiche di potere. 

Un esempio classico può essere trovato nella resistenza ai regimi autoritari: i dissidenti possono non avere il ‘permesso di’ protestare secondo le leggi dello stato, ma la loro ‘capacità di’ organizzarsi e resistere può esercitare una forma di potere che sfida l'autorità ufficiale. In questo contesto, il potere emerge non solo come una questione di autorizzazione formale ma come una manifestazione di volontà e un’azione individuale e collettiva.

Dinamiche sociali e cambiamento

Le interazioni tra il potere come ‘permesso di’ e come ‘capacità di’ sono cruciali nel guidare le dinamiche sociali e il cambiamento.

Movimenti sociali, innovazioni tecnologiche, cambiamenti culturali: tutti questi fenomeni possono essere visti come il risultato di tensioni e sinergie tra queste due dimensioni del potere.

La storia umana mostra innumerevoli esempi di come il potere come ‘capacità di’ abbia sfidato le strutture esistenti, portando a nuove configurazioni del ‘permesso di’ lavorando spesso per realizzare una società più giusta e equa.

Autonomia, responsabilità e potenziale dell’individuo

Il potere come ‘capacità di’ solleva domande sull'autonomia, la responsabilità e il potenziale di ogni individuo di influenzare il mondo intorno a sé,  enfatizzando l'importanza dell'empowerment e dell'autoefficacia come strumenti per il cambiamento sociale e personale. Ma anche in questo caso, forse, c’è in questione un permesso.

Mi spiego: avere potere implica forse anche il ‘darsi il permesso’ di riconoscere e riconoscersi la possibilità di ‘essere capace’ di qualcosa?

Impotenza appresa

Può essere utile, a questo punto, richiamare il concetto di ‘impotenza appresa’ - originariamente formulato da Martin Seligman e i suoi collaboratori negli anni '60 - ed esplorarlo come ci ha proposto Frank Furedi, sociologo ungaro-canadese, che lo ha guardato principalmente attraverso una lente sociologica e culturale, ponendo l'accento su come l'impotenza appresa si manifesti e sia incentivata nella società contemporanea.

Secondo Furedi le società moderne promuovono una "cultura dell'impotenza" caratterizzata da un'attenzione sproporzionata verso la vulnerabilità e la sicurezza, che finiscono per limitare la resilienza individuale e collettiva. 

Un'enfasi eccessiva sulla sicurezza e sulla protezione dai rischi, infatti, può ridurre la capacità delle persone di affrontare le sfide, portandole a sentirsi sempre più impotenti di fronte alle avversità.

La politica dell'impotenza e la società del rischio

Furedi esplora anche le implicazioni politiche dell'impotenza appresa, suggerendo che la crescente percezione di vulnerabilità (talvolta sapientemente indotta) può essere utilizzata come giustificazione di  interventi sempre più intrusivi da parte dello stato nella vita degli individui.

Questa dinamica può portare a una riduzione della libertà personale e a una maggiore dipendenza dalle istituzioni per la gestione di rischi e problemi che in precedenza venivano affrontati a livello individuale o comunitario.

Furedi critica quella che chiama la "società del rischio", un termine coniato dal sociologo tedesco Ulrich Beck, per la sua tendenza a enfatizzare i pericoli e le insicurezze, spingendo le persone verso una costante preoccupazione per la sicurezza. 

Questa ossessione per il rischio contribuisce a un senso collettivo di impotenza, limitando la capacità delle persone di prendere iniziative e di affrontare le incertezze della vita.

I media, i social media e la tecnologia, inoltre, hanno un ruolo rilevante e sempre crescente nell'amplificare la percezione dell'impotenza. La costante esposizione a notizie negative e all'allarmismo così come il linguaggio di odio e la trasformazione di quasi tutte le platee pubbliche, fisiche o virtuali che siano, in un ring violento, può alimentare un senso di paura e frustrazione, riducendo la fiducia degli individui nella propria capacità di affrontare le sfide. 

L’impatto dell’impotenza appresa sulla cittadinanza attiva

La cittadinanza attiva si basa sull'idea che gli individui siano partecipanti attivi nella vita politica, sociale ed economica della loro comunità e della società più ampia.

Presuppone un senso di agency, ovvero la capacità di agire efficacemente per influenzare il corso degli eventi.

Tuttavia, l'impotenza appresa può erodere questo senso del poter agire, portando gli individui a credere che le loro azioni siano ininfluenti, il che a sua volta li disincentiva dal partecipare attivamente alla vita della loro comunità.

Quando gli individui internalizzano l'idea di impotenza, tendono a disimpegnarsi dai processi decisionali e dalle attività che richiedono iniziativa e impegno.

La convinzione che la propria voce non sia ascoltata o che il proprio contributo non possa fare la differenza alimenta un ciclo di passività che può avere conseguenze negative non solo per l'individuo, ma per l'intera società. Una manifestazione eclatante di questo fenomeno è, ad esempio, l’astensionismo elettorale e la scarsa partecipazione alle iniziative civiche.

Superare l'impotenza appresa

Sebbene le pratiche culturali, educative e politiche in un certo contesto possano contribuire a una sensazione diffusa di impotenza tra gli individui, questa tendenza può essere invertita favorendo e sostenendo un cambiamento nell’atteggiamento collettivo e istituzionale e incoraggiando l'iniziativa e l'autonomia personale come antidoti all'impotenza appresa. 

Si tratta, prima di tutto, di adottare un approccio più equilibrato, che valorizzi la forza, la resilienza e la capacità di ogni individuo di contribuire attivamente al proprio benessere e a quello della società.

Coltivare in se stessi - e stimolare nelle altre persone, fin dall’infanzia - la capacità di affrontare l'incertezza e di gestire i rischi in modo costruttivo, ci consente di imparare a confrontarci positivamente con le complessità del mondo contemporaneo e contribuisce anche a rafforzare il tessuto sociale e a evidenziare il valore di una cittadinanza attiva e impegnata.

Promuovere narrazioni che valorizzino la resilienza e l'empowerment, implica non solo il riconoscimento e l'accettazione dell'incertezza e del rischio come parti integranti della condizione umana, ma anche la pratica e l'incoraggiamento attivi di forme di educazione e di dialogo sociale e il sostegno a politiche che favoriscano l'indipendenza, l'autonomia e la capacità di affrontare le avversità.

Per rompere, infine, il ciclo dell'impotenza appresa e la sua manifestazione nella società e sviluppare cittadinanza attiva, è necessario rafforzare il senso di agency individuale e collettiva, ad esempio coinvolgendo le persone in momenti di riflessione e dialogo generativo su temi di interesse comune e in progetti che abbiano un impatto tangibile sulla comunità.

Una comunicazione trasparente, l'apertura al confronto e la realizzazione di iniziative partecipative possono contribuire a creare un ambiente in cui gli individui si sentono ascoltati e valorizzati. Questo può aiutarli a riconoscere, a loro volta, il valore della partecipazione e a riacquistare fiducia nelle proprie capacità di influenzare il cambiamento.