Consapevolezza della complessità e cambio di paradigma

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Come ormai sappiamo il fil rouge delle nostre conversazioni - e della nostra newsletter - del 2023 è costituito dagli IDGs (Inner Development Goals), iniziativa globale alla quale Bottega Filosofica partecipa all’interno di una comunità di oltre 3000 studiosi, manager, consulenti di tutto il mondo.

Gli IDGs, lo ricordiamo, costituiscono il framework delle qualità e capacità che sono ritenuti, da questa comunità aperta e in continua ricerca, indispensabili da coltivare e sviluppare in tutte gli esseri umani se vogliamo concretamente raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite (SDGs).

L'IDG del quale ci occupiamo in questo mese è ‘Consapevolezza della Complessità’.

Nel documento di presentazione del framework questo IDG viene illustrato come "Comprensione e capacità di lavorare con condizioni e in situazioni complesse e sistemiche".

Questa consapevolezza è cruciale perché, come spesso abbiamo scritto nei nostri articoli, l’approccio della complessità e il pensiero sistemico sono indispensabili per realizzare il cambiamento radicale di cui il sistema mondo ha bisogno in questo momento.

Per assicurare la sopravvivenza e la prosperità della specie umana, come ormai è affermato frequentemente, è necessario un "cambio di paradigma".

Per affrontare le sfide globali, scriveva R. Buckminster Fuller, l'architetto, ingegnere, inventore e visionario americano noto per il suo approccio innovativo e multidisciplinare e padre del concetto di "design integrale" - che si basava sulla comprensione delle interconnessioni e delle sinergie tra vari aspetti del mondo naturale e umano - "Per cambiare un paradigma esistente, non lottare per cercare di cambiare il modello problematico. Crea un nuovo modello e rendi obsoleto quello vecchio."

Anche secondo Donella Meadows, scienziata ambientale, educatrice e scrittice americana pioniera della sostenibilità, il modo più efficace per intervenire e apportare cambiamenti in un sistema è quello di spostare i paradigmi.

Ma cos'è un paradigma? E come si cambia?

Un paradigma è una visione del mondo, ovvero ciò che crediamo essere vero sul mondo, su come funziona e sul nostro ruolo in esso.

Sebbene, quindi si parli spesso di "cambio di paradigma", raramente ci si interroga sul proprio paradigma. 

Spesso non si è consapevoli di quello all’interno del quale si opera né si sceglie consapevolmente di adottarne uno specifico. Vivere e agire ‘a partire’ da una visione del mondo che è anche una cornice di senso, un sistema di presupposti, una chiave interpretativa della realtà. Si tratta quindi di qualcosa di profondo e pervasivo nella nostra vita.

Cambiare un paradigma, se vogliamo prendere questa espressione sul serio, è una scelta radicale, in senso letterale sin dalle radici che ci sostengono.

Il nostro attuale paradigma culturale dominante - quello in cui siamo immersi e che solo in rari casi abbiamo scelto o al quale abbiamo aderito consapevolmente - è  quello facilmente riconoscibile nel nostro modello di sviluppo occidentale capitalistico che, pur nascendo in campo economico, ha dato forma al nostro intero stile di vita.

Si tratta di una visione del mondo costruita sull’antropocentrismo, sulla scarsità e sull’individualismo, che promuove e premia la competizione, il consumo e l’accumulo di ricchezza materiale e, in tal modo, finisce per generare prevalentemente avidità, paura, diffidenza e marginalità.

Questo paradigma, anche in maniera subdola e sotterranea, guida i nostri comportamenti e le nostre decisioni facendoci considerare inevitabili – brutte certo ma accettate in virtù di una sguardo ‘realistico’-  cose come lo sfruttamento dilagante di popoli e territori in tutto il mondo, l’uso dei combustibili fossili, l’aumento delle temperature, le carestie, le pandemie e altre cose simili.

Tutti fenomeni che si accompagnano ai nostri stili di vita – o forse bisogna dirsi che li rendono possibili – che hanno come presupposti la crescita industriale e tecnologica verticale e costante e come indicatore di successo la produzione di sempre maggiore valore economico.

La maggior parte di noi aderisce a questo paradigma - siamo ‘immersi ’ in esso - quando operiamo nella società, nel lavoro e nel mercato, nella nostra vita pubblica nel senso più lato.

Possiamo attribuirne la responsabilità ad altri – al sistema - lamentarci, e magari anche sentirci in colpa, ma ci sentiamo impotenti, sovrastati, e quindi finiamo per non metterne in discussione principi, regole e accettare lo status quo. Che altro potremmo fare, d’altronde?

Un altro paradigma

Ma esiste un’altra visione del mondo, un paradigma non creato dagli esseri umani ma preesistente e persistente: è il paradigma della Natura.

Un paradigma emerso nel corso di miliardi di anni di evoluzione, che si basa sull'abbondanza, sull’autopoiesi, sull’interdipendenza tra tutti i sistemi, sulla sinergia, sulla fiducia, sulla resilienza e sulla meraviglia.

È così che la vita sulla Terra è riuscita a diversificarsi e a diffondersi dai primo microrganismi di tre miliardi di anni fa ai milioni di specie diverse di organismi che ora vivono su tutti i continenti e negli oceani.

Se gli esseri umani vogliono sopravvivere su questa Terra, allora devono imparare di nuovo a seguire i principi e i modelli di funzionamento della Natura. Ma anche tornare a ’sentirsi Natura’.

Se ci pensiamo bene, già sappiamo come farlo.

Dal momento che gli esseri umani sono esseri biologici, il paradigma della Natura è il nostro paradigma naturale.

È la nostra visione del mondo intuitiva del mondo quando non siamo soltanto quello che potremmo definire ‘il nostro involucro’ ovvero il ruolo – i ruoli - che abbiamo nella società ma quando, anche in questi ruoli – ma non solo - siamo il nostro autentico sé.

Non abbiamo quindi da imparare qualcosa quanto piuttosto da dis-imparare. La sfida non sarà allora aggiungere ma togliere, per sentirsi più leggeri, più liberi, più armonici.

E questa è una cosa meravigliosa, che ci restituisce un senso di meraviglia verso la Natura – la vita – e le sue manifestazioni fuori e dentro di noi.

Un’altra cosa meravigliosa è che vivere - e quindi anche lavorare e consumare – a partire dal nostro paradigma Naturale ci permetterà, individualmente e collettivamente, di creare il tipo di mondo in cui tutti vorremmo vivere.

Come? Imparando dalla Natura, cercando nella Natura le soluzioni che funzionano perché sono frutto di millenni di selezione.

La Biomimesi (Biomimicry)

Janine Benyus, co-fondatrice del Biomimicry Institute, biologa, e autrice di “Biomimicry: Innovation Inspired by Nature” (il libro che ha portato la biomimesi all'attenzione del pubblico), ha definito la Biomimicry come "emulazione consapevole del genio della vita".

La biomimesi presenta, quindi, alcune caratteristiche:

  • è cosciente: é intenzionale
  • è emulativa: impara dagli esseri viventi, quindi applica le intuizioni attivate dall’osservazione della natura alle sfide che gli esseri umani vogliono risolvere
  • riconosce che "la Vita è un Genio": riconosce che la vita è arrivata a soluzioni ben adattate che hanno superato la prova del tempo, entro i limiti di un pianeta con risorse limitate.

Con la biomimesi, possiamo sviluppare nuovi prodotti, processi e sistemi o migliorare i progetti esistenti. Può aiutarci a cambiare la nostra prospettiva, a vedere i problemi di progettazione e gli obiettivi in modo diverso e a scoprire ‘nuove’ soluzioni a problemi difficili.

Quindi lo scopo della biomimesi non è imitare una certa forma, ma capire qual è l'obiettivo che la Natura si è posta nell'utilizzarla e per il quale ci dice, in parole povere: questa è la risposta.

Sta a noi, dedurre la domanda.

Nella biomimesi insomma l'aspetto di imitazione della natura non è limitato alla dimensione estetica ma è volto a risolvere un problema funzionale.

Secondo il Biomimicry Institute, la biomimesi è una pratica che impara e imita le strategie presenti in natura per risolvere sfide di progettazione umane e trovare speranza.

Quando viene praticata correttamente, la biomimesi consente di trovare soluzioni radicalmente innovative e sostenibili a qualsiasi problema o sfida di progettazione potenziale.

Inoltre, praticare la biomimesi può essere estremamente creativo e di grande ispirazione.

La biomimesi è basata sulla scienza, fornisce una metodologia efficace di progettazione sostenibile e permette ai professionisti di creare progetti che siano in linea con la natura e con i suoi valori.

Alcuni esempi di prodotti già esistenti derivati dalla biologia sono:

  • la vernice autopulente ispirata alle foglie di loto
  • l'adesivo il cui meccanismo di fissaggio replica il modo in cui il geco si attacca alle superfici con milioni di minuscole setole
  • i display degli schermi di alcuni lettori di e-book in cui il colore è prodotto dal passaggio della luce attraverso membrane riflettenti e rifrangenti, come accade in natura alla farfalla Morpho.

Proviamo a entrare nel processo seguendo la creazione di alcuni di questi prodotti.

I due approcci della biomimesi

Troviamo due approcci principali per l'innovazione derivata dalla natura.

Il primo parte dall'osservazione di un fenomeno biologico e ne applica il funzionamento a un problema di design.

Un esempio può essere la ricerca, effettuata negli anni Novanta dal docente di Scienza delle Piante Wilhelm Barthlott all'Università di Bonn, appunto sulle foglie del loto.

Osservandone al microscopio la superficie, Barthlott scoprì che queste foglie non sono lisce, come potrebbe sembrare, ma sono ricoperte da migliaia di piccole scaglie, su cui la polvere e le impurità non riescono a fare presa e vengono perciò trascinate via dalla pioggia.

Barthlott ebbe l'idea di commercializzare questa scoperta applicandola a una serie di prodotti, di cui il rivestimento ‘autopulente’ Lotusan per le facciate delle case, è forse l'esempio più famoso.

L'altro approccio, speculare, è quello di partire da una sfida di progettazione di un artefatto umano, e cercarne la soluzione nel mondo naturale.

È il caso del progetto del EastGate Centre di Harare, in Zimbabwe, realizzato dall'architetto Mick Pearce traendo spunto dal modo in cui le termiti costruiscono i loro caratteristici nidi ‘a pinnacolo’, la cui temperatura rimane pressoché costante nonostante il caldo torrido diurno e il fresco delle notti.

Pearce studiò il sistema di ventilazione dei nidi delle termiti per creare un edificio il cui sistema di climatizzazione ‘naturale’, basato su una serie di ventole di sfiati, consuma il 10 per cento di un analoga costruzione dotata di un sistema di raffreddamento tradizionale.

Alcuni concetti chiave della biomimesi

Funzione e strategia: legami fondamentali tra biologia e design

Per praticare la biomimesi, è importante capire prima di tutto il concetto di funzione.

La funzione è una base essenziale della biomimesi ed è un elemento che distingue il design biomimetico da quello biofilo e biomorfo.

Invece di guardare semplicemente alle qualità visive ed estetiche del mondo biologico, la biomimesi si concentra sull'apprendimento di come gli esseri viventi assolvono a specifiche funzioni.

Una funzione, per definizione, è lo scopo di qualcosa. Nel contesto della biomimesi, la funzione si riferisce al ruolo svolto dagli adattamenti o dai comportamenti di un organismo che gli permettono di sopravvivere.

La funzione può anche riferirsi a qualcosa che abbiamo bisogno faccia la soluzione progettuale che stiamo cercando.

Gli organismi soddisfano le esigenze funzionali attraverso strategie biologiche.

Una strategia biologica è una caratteristica, un meccanismo o un processo che svolge una funzione per un organismo. È un adattamento che l'organismo ha per sopravvivere.

Facciamo un esempio: uno scopo della pelliccia dell’orso polare è quello di tenerlo caldo. Ovvero la funzione della pelliccia dell'orso è quella di isolare o di conservare il calore.

Quindi, la pelliccia dell'orso polare è una strategia per l'isolamento, ma, più specificamente, sono le caratteristiche della pelliccia dell'orso polare a renderla particolarmente buona per questa funzione. Lo studio del funzionamento della pelliccia dell'orso polare potrebbe portare allo sviluppo di un migliore isolamento per le esigenze umane, come quelle dell'abbigliamento esterno, degli edifici o ad altre applicazioni possibili dal momento che si è scoperto che la pelliccia assorbe i raggi infrarossi.

Identificare le funzioni per poter ‘copiare’ dalla natura

Quando si inizia una sfida di progettazione, la cosa più importante da considerare per prima cosa è "Quale problema voglio risolvere?" o meglio "Quale funzione voglio assolvere?", "Cosa voglio che faccia il mio progetto?"

Per esempio, non si ‘chiede’ alla natura come si fa a fare un ventilatore. Si potrebbe invece chiedere "Come fa la natura a muovere l'aria?" o "Come fa la natura a raffreddare?"

Spesso è utile, se possibile, proporre alcune varianti alla domanda "Come". In questo modo è possibile esplorare la sfida funzionale da diverse angolazioni. (L'aria in movimento è solo un modo per raffreddare e può servire anche per altre funzioni).

Si tratta quindi di scegliere con cura il verbo che completa la domanda: "Come fa la natura a …….."

Per esempio, vogliamo progettare un casco da bicicletta? O vogliamo progettare un modo per proteggere la testa di un ciclista dall'impatto?

Se ci chiediamo: "Come la natura protegge dagli urti?", possiamo cercare organismi o sistemi in natura che svolgono la stessa funzione.

Per cercare le nostre soluzioni possiamo cominciare con l’esplorare la tassonomia della Biomimesi.

In origine la tassonomia è la scienza della classificazione della vita. I biologi danno un nome agli organismi e li identificano, raggruppandoli e classificandoli in una gerarchia nidificata di ranghi tassonomici (domini, regni, ecc., fino al genere e alla specie) sulla base di relazioni evolutive. Oggi la parola ‘tassonomia’ viene usata spesso per descrivere qualsiasi sistema di classificazione.

La Biomimicry Taxonomy è un sistema di classificazione che il Biomimicry Institute ha sviluppato per organizzare le strategie biologiche in base alle funzioni che svolgono.

È anche la struttura di base di AskNature, la biblioteca più completa al mondo (in forma di database) di soluzioni biologiche applicabili alle sfide della progettazione umana.

Riconoscere il contesto

Come certamente sappiamo, ci sono molti modi per svolgere una determinata funzione. Le strategie variano a seconda del contesto, o delle condizioni in cui una strategia viene utilizzata.

Ad esempio, un albero a crescita lenta può utilizzare foglie di dimensioni diverse per ottimizzare la cattura della luce solare per la fotosintesi, mentre una vite può avere foglie della stessa dimensione ma utilizzare una crescita rapida per posizionare al meglio le foglie per la fotosintesi.

Il contesto determina il modo in cui un organismo o un ecosistema soddisfa con successo le sue esigenze funzionali.

Sia in biologia che nel design, una strategia che funziona bene per soddisfare una funzione in un contesto, potrebbe non funzionare in un contesto diverso. Per ottenere la stessa funzione o lo stesso risultato, può essere necessaria una strategia diversa.

Inoltre, poiché i contesti sono complessi, gli organismi e i progetti umani spesso svolgono funzioni multiple e impiegano più strategie contemporaneamente.

Il problema della biomimesi

Ma se la biomimesi è così utile e così meravigliosa, perché viene praticata così raramente e ancora più raramente viene implementata?

La risposta non è nella biomimesi, non c'è niente di sbagliato in essa!

Ciò che è sbagliato è che non rispecchia e non rafforza il nostro attuale paradigma culturale dominante. Non si adatta al 'mondo reale' come lo abbiamo descritto in precedenza.

Il paradigma nel quale siamo immersi mette l'uomo al di sopra della natura, alcuni uomini sopra altri uomini e la maggior parte degli uomini sopra la maggior parte delle donne.

La natura ha un paradigma molto diverso e offre una visione del mondo molto diversa su come funziona e sul nostro ruolo al suo interno. I ‘presupposti’  o i valori -  della Natura sono abbondanza, interdipendenza, sinergie, fiducia, resilienza e curiosità.

Quando operiamo a partire dal Paradigma Naturale, non solo vediamo il quadro generale, ma ci sentiamo parte di esso e questo ci consente di impegnarci nel pensiero emergente, nella co-creatività e nell'ascolto autentico.

Quindi se già siamo stati sollecitati dalla biomimesi, ma non riusciamo a capire come applicarla nel nostro lavoro o nella nostra vita, forse è perché abbiamo cercato di applicarla all'interno dei costrutti del Paradigma Convenzionale.

Proviamo per un attimo a uscirne. Riflettiamo.

Migliaia di volte, migliaia di uomini sono passati davanti a un dato fenomeno e non vi hanno trovato nulla di particolare; poi sopraggiunge un uomo e osservando lo stesso fenomeno ne trae una legge importante. Da cosa deriva ciò, pur apparendo tale fatto nella stessa immagine a tutti?

Quell’uomo era capace di vedere con occhi diversi; intuiva ciò che gli altri non potevano vedere. Tutte le scoperte scientifiche dipendono dal fatto che l’osservatore sa osservare in modo particolare.

Così come i sensi percepiscono oggetti, il pensiero percepisce idee.

Johann Wolfgang von Goethe, noto principalmente come uno dei più grandi scrittori e poeti della storia, ha anche portato importanti contributi nel campo della scienza, in particolare nell'ambito dell'osservazione naturale e della fenomenologia.

Il metodo di osservazione di Goethe si basava su un approccio olistico - sistemico -, che considerava l’osservatore come parte integrante del processo e che cercava di comprendere i fenomeni naturali nel loro contesto completo anziché scomporli in parti isolate.

Egli credeva che l'osservazione diretta e paziente della natura, basandosi sulla comprensione delle connessioni e delle interrelazioni nella natura e cercando di cogliere la sua essenza piuttosto che ridurla a semplici meccanismi, avrebbe rivelato le leggi organizzative nascoste dietro i fenomeni.

Il metodo di Goethe per l’osservazione si basava sull’esperienza pura (percepire puro): il non lasciare mai penetrare nell’indagine alcun ingrediente soggettivo.

Per esempio guardare a una pianta esattamente com’è, la forma delle foglie, lo stelo, i petali dei fiori. Nessuna inferenza o interpretazione.

Entrare in relazione profonda con la pianta, farsene un’idea, concettualizzare le sue caratteristiche e cercare di ascoltarla ci può far cogliere cosa la pianta ci dice rispetto a noi, alle risorse che abbiamo, a come possiamo rispondere alle domande che ci stanno a cuore in quel momento.

Conclusioni

La pratica della biomimesi sta dando a un gruppo sempre più ampio di persone nel mondo, un nuovo modo di capire come ci siamo cacciati nel ‘pasticcio’ attuale - il cambiamento climatico, l'ingiustizia sociale, la povertà - e come possiamo uscirne.

Le soluzioni di design della natura, infatti, sono multifunzionali, reattive, adattive e rigenerative.

I partecipanti all'"economia" della natura valorizzano e sfruttano ciò che è localmente disponibile e abbondante.

Tutti gli esseri viventi nella natura supportano i sistemi di cui dipendono, prendendo solo ciò di cui hanno bisogno e restituendo durante il processo di semplice sopravvivenza.

Questo è il paradigma con cui dobbiamo allineare nuovamente noi stessi alla natura per creare un futuro davvero rigenerativo.

E come possiamo usare la biomimesi per scoprire ed emulare le strategie funzionali della natura per creare soluzioni di design sostenibili, possiamo usare gli strumenti della biomimesi per riscoprire e ricreare il modello di funzionamento delle organizzazioni e della società.

Possiamo riallineare la nostra vita e il nostro lavoro - cosa facciamo, come lo facciamo e perché lo facciamo - con la natura e la nostra stessa natura umana.

Possiamo applicare gli strumenti della biomimesi alle sfide e alle esigenze del modello problematico esistente e, facendolo, scoprire il potere e il potenziale del nostro paradigma naturale.

Piuttosto che controllare e dirigere, vincere e perdere, incolpare e lamentarsi, possiamo iniziare a curare e a interrogare, a immaginare e a ideare, a co-creare e a innovare.

Proprio quello che ci insegna e fa sperimentare la pratica della biomimesi: imparare dalla natura che non si concentra sulla risoluzione dei problemi, ma invece si muove costantemente verso risultati più positivi per tutti, per il sistema intero.