La facilitazione orizzontale per promuovere la co-creazione

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Il fil rouge delle nostre conversazioni - e della nostra newsletter - del 2023, cosa ormai nota, è costituito dagli IDGs (Inner Development Goals).

L'IDG che vogliamo interpretare questo mese è 'capacità di co-creazione' che il documento di presentazione del framework IDG definisce come "Abilità e attitudine a costruire, sviluppare e facilitare relazioni di collaborazione con stakeholder diversi, caratterizzate da sicurezza psicologica e autentica co-creazione".

​Spesso sentiamo e leggiamo che la chiave per promuovere innovazione e sviluppo sostenibile nelle organizzazioni è la partecipazione attiva di tutti i soggetti coinvolti, a tutti i livelli, fin dall'inizio. Non più - quindi - un vertice che decide da solo e una base che mette in pratica, in maniera meccanica e senza fare domande, ma un vertice che decide dopo aver raccolto i contributi della base - e coerentemente con essi - e una base che realizza le decisioni prese con consapevolezza e senso di responsabilità.

A ben guardare un cambio culturale prima e più che organizzativo.

 

Ciò che cambia sostanzialmente non è il cosa (le decisioni strategiche vengono comunque prese dal vertice) ma il come.

Le decisioni non vengono più prese 'dietro una scrivania', solo leggendo numeri e grafici, ma ascoltando le persone che - in buona parte- quei numeri e grafici li determinano e vivono ogni giorno.

 

Un ascolto finalizzato a:

• comprendere le cause esogene e - soprattutto - endogene che hanno determinato la situazione osservata

• stimolare riflessioni e proposte per cristallizzare gli elementi di forza e modificare quelli di debolezza

• promuovere un ambiente aperto, inclusivo e generativo per sviluppare innovazione

 

L'elemento sul quale vogliamo concentrarci è quest'ultimo.

 

La buona volontà non basta

 

Un ambiente aperto, inclusivo e generativo è una scelta di valore non casuale.

Ma volerlo non basta.

Non basta dire alle persone: “Dimmi cosa ne pensi, proponi, le tue idee mi interessano”.

Occorre dimostrarlo con comportamenti coerenti.

Occorre creare uno ‘spazio sicuro’ in cui ogni persona senta di poter esprimere autenticamente la propria unicità, senza timore del giudizio altrui, o di conseguenze negative - materiali o relazionali - qualora esprima opinioni dissonanti con il coro.

Perché ciò avvenga - di nuovo - non bastano dichiarazioni di intenti o linee guida calate dall'alto. Occorre sviluppare una cultura del dialogo e del confronto, anche dello scontro - purché rispettoso - su temi strategici; una cultura del feedback che consenta una continua e reciproca crescita attraverso la cristallizzazione dei comportamenti efficaci e il supporto nella modifica di quelli inefficaci; un approccio inclusivo che consideri le differenze una fonte di arricchimento.

Infine, occorre la pratica.

Mediamente, la scuola, l'università e il mondo del lavoro non stimolano il pensiero critico né la sua espressione. Anche involontariamente, la percezione è che più si è omologati meglio è. Più si usano le parole dell'insegnante, più alto è il voto; più si applaudono le iniziative ‘del capo’, più si è allineati alla visione dell’organizzazione.

Quando ci si rende conto di questa distorsione e si sceglie di rompere il circolo vizioso, bisogna dare tempo alle persone di abituarsi al cambiamento.

Bisogna stimolarle chiedendo la loro opinione e il loro contributo con sincero interesse e poi bisogna tenere conto delle opinioni e dei contributi raccolti e dare conto dell'uso che se ne è fatto.

Per fare tutto questo occorrono competenze e strumenti.

Non è questo lo spazio per esplorare tutte le possibilità (alcune delle quali potete trovarle nella nostra IDG academy); ma tra queste una che può risultare utile in diversi contesti è la facilitazione.

 

In biologia, la facilitazione è una relazione tra individui differenti che beneficiano dal crescere insieme.

In etologia, rappresenta i meccanismi per cui, quando un gruppo interagisce, condotte finora inesistenti si manifestano e quelle che esistono in maniera debole si amplificano.

 

In ambito organizzativo, la facilitazione è un processo di guida non direttiva, fondato sull’esperienza di ciascun(a) partecipante e sul contributo di tutti, che sfocia in un’intelligenza collettiva, capace di generare idee innovative, soluzioni a problemi complessi, progettualità condivise.

 

La facilitazione è anche un metodo di apprendimento esperienziale grazie al quale acquisire competenze e abilità in modo empirico e coerente con le proprie personalità e sensibilità e con il contesto nel quale si dovrà applicarle.

 

Ci sono situazioni in cui è utile - talvolta necessario - che la facilitazione sia professionale, cioè svolta da una o più persone con competenze e abilità specifiche ed esterne all'organizzazione.

 

Ma la qualità di un ambiente è determinata dalle persone che lo vivono quotidianamente.

È allora necessario che alcune di queste persone si mettano nella condizione di facilitare da altri ruoli.

Imparando versioni semplificate di metodologie partecipative e tecnologie sociali e - soprattutto - imparando ad assumere la postura di chi facilita.

 

Cosa serve per facilitare

 

Al di là delle tecniche che, come già detto, si possono apprendere anche in una versione più semplice e, con il supporto di professionalità specifiche, quello che soprattutto rileva è l'atteggiamento e - prima ancora - la consapevolezza di chi facilita.

Nella nostra esperienza - professionale e come membri di associazioni di pari - si fa spesso confusione tra facilitazione, moderazione e coordinamento.

E la confusione è altrettanto spesso inconsapevole e in totale buona fede.

Semplificando all'estremo:

• quando si modera una conversazione (o un gruppo di lavoro, ecc.) ci si assicura che tutte le persone possano contribuire, garantendo loro spazio e tempo per esprimersi

• quando si coordina ci si assicura che le persone siano portatrici di tutte le conoscenze e competenze necessarie e che gli interventi seguano un ordine coerente con l'obiettivo dell'incontro.

 

Chi modera e chi coordina è una sorta di primus (o prima) inter pares che orienta la conversazione.

 

Chi facilita – invece - ha un ruolo fondamentale nella preparazione del ‘terreno conversazionale’ e nella restituzione successiva dei risultati della conversazione, mentre durante la conversazione è quasi invisibile.

 

Una delle differenze di fondo sta nelle premesse con le quali ci si approccia, ovvero:

ogni persona può contribuire, anche se priva di conoscenze tecniche o competenze specifiche sull'argomento

• non ci sono contributi inutili, ridondanti o superflui

• la vera forza del gruppo è nel gruppo stesso e nell'intelligenza collettiva che si attiva attraverso il confronto e la condivisione e che genera idee e soluzioni che nessun membro avrebbe potuto generare individualmente.

La seconda differenza sostanziale è nell'atteggiamento con il quale chi facilita affronta il proprio ruolo:

spirito di servizio. Chi facilita è al servizio del gruppo senza ingerire nelle attività, 'solo' assicurando che l'ambiente sia sempre rispettoso, inclusivo, cooperante e generativo

assenza di protagonismo. In una facilita¬zione ben fatta chi facilita è quasi invisibile. Le persone ricordano vividamente le conversazioni, gli scambi, le idee, le sensazioni e le emozioni provate. Di chi facilita ricordano la preparazione, l'organizzazione e il supporto discreto

sospensione delle aspettative e del giudizio. Questo atteggiamento può essere più difficile da adottare per chi è nell'orga¬nizzazione e ha quindi un interesse diretto al buon esito della conversazione o dei lavori del gruppo. Tuttavia, è fondamentale per garantire il rispetto delle premesse della facilitazione elencate prima.

guida gentile. Per quanto detto sin qui, non dobbiamo immaginare che le conversazioni o i gruppi si conducano in modo anarchico. Tutto il contrario: chi facilita può garantire una presenza discreta durante lo svolgimento delle attività perché ha fatto un grande lavoro prima nell' identificare e definire l'oggetto dell'incontro, nello scegliere la metodologia più efficace per lo svolgimento, nel definire e condividere poche essenziali regole del gioco, attenendosi alle quali, le e i partecipanti possono agire in autonomia.

 

Ma chi facilita ha il compito di garantire che:

• non si devi troppo o troppo a lungo dal ‘perché’ dell'incontro

• si rispettino le regole del gioco e i tempi

• non ci siano protagonismi

• tutte le persone si sentano incluse e sicure e contribuiscano.

 

In queste circostanze, interviene con gentilezza e in maniera non direttiva (indipendentemente dal suo ruolo).

 

I vantaggi della facilitazione

 

Facilitare è più faticoso che guidare o anche solo coordinare un gruppo ma genera vantaggi nell'immediato e ancora di più nel lungo periodo, quando diventa una prassi nell'organizzazione.

 

Partecipazione

 

Le persone si sentono molto più ingaggiate e coinvolte; sentono di essere protagoniste dei processi e delle loro innovazioni. Di conseguenza, contribuiscono con idee, considerazioni e proposte, consapevoli che non necessariamente saranno accolte, ma che saranno state ascoltate e ponderate e che le decisioni che verranno prese saranno anche un po' frutto del loro contributo. Ciò garantisce all'organizzazione una scorta di idee da utilizzare nell'immediato o in futuro, così come sono venute o da rimodellare e sviluppare (magari con un’ulteriore facilitazione) che altrimenti non avrebbe.

 

Sviluppo delle persone e apprendimento reciproco

 

Nel confronto, le persone apprendono le une dalle altre, condividono conoscenze, competenze ed esperienze in modo orizzontale e reciproco.

Sviluppano relazioni e sinergie che comportano anche sviluppo professionale.

 

Senso di responsabilità

 

Avendo partecipato fin dall'inizio alla definizione dei processi e delle innovazioni, le persone si sentiranno responsabili del buon esito di quanto deciso. Non saranno più meri esecutori passivi, ma partecipanti attivi.

 

Valore aggiunto

 

Tutto quanto detto sopra genera vivacità, iniziativa, benessere individuale e collettivo: effetti non immediatamente e facilmente misurabili ma che contribuiscono in modo sostanziale al benessere e alla prosperità dell'organizzazione.