È il momento di vedere, di riconoscere, il circolo vizioso che inconsapevolmente ci sembra si sia attivato nella percezione collettiva dell’umanità. Questo è quello che spesso ci diciamo nelle nostre conversazioni in Bottega filosofica.
Osserviamo che nella mente e nel cuore di molti – anche nella nostra, talvolta – c’è una forte percezione di essere irrilevanti rispetto a ciò che accade. È una sensazione sgradevole, e qualche volta addirittura dolorosa che ci porta a mollare, a sottrarci, a ‘chiamarci fuori’.
“Se sono irrilevante qualsiasi cosa faccia non impatterà sul sistema, quindi non ci provo nemmeno”.
Ma se non ci provo, non sperimenterò mai che questo può non essere vero.
Il non provarci, quindi, rafforza il mio senso di impotenza e di distacco e, inevitabilmente la mia percezione di irrilevanza. E anche per il contesto, non essendoci manifestate, facilmente non siamo visibili, non siamo rilevabili e, quindi, irrilevante.
Eccolo il circolo vizioso, lo riconosciamo? Ci appartiene?
Eppure sappiamo e, se ci fermiamo un attimo, possiamo osservare che abbiamo un impatto sul nostro contesto, lo abbiamo sempre perché siamo tutti interconnessi e interdipendenti.
Può essere un impatto negativo o positivo, può essere frutto di una azione o anche dell’inazione, del non fare qualcosa che saremmo in grado di fare e che non facciamo. Il non fare ha comunque un impatto, non è neutro. È importante saperlo.
Interdipendenza, interconnessione, impatto sono parole, concetti, che ci sembrano nuovi ma che, in realtà, non lo sono. Ci appartengono, sono dentro di noi da sempre. Oggi è vitale riscoprirle, dare loro nuovo valore e sulla base di una rinnovata consapevolezza sviluppare nuovi pensieri e nuove prassi.
Scrive Otto Scharmer in un articolo recente “Nel contesto della policrisi e del collasso sistemico, la sfida principale che dobbiamo affrontare è un senso di depressione collettiva ampiamente condiviso, una mancanza di ‘agency’ [la sensazione di efficacia nel poter influire sull’ambiente circostante, di poter influenzare l’ambiente esterno] rispetto al quadro generale. Cosa occorre per servire la trasformazione evolutiva di fronte a questo collasso? […]
Se vogliamo servire la trasformazione della società di fronte a questo collasso, come crediamo sia pienamente possibile, dobbiamo attingere a una nuova forma di sapere - sapere per l'azione trasformativa.
Le nostre attuali categorie di conoscenza - prima persona (soggettiva), seconda persona (intersoggettiva) e terza persona (oggettiva esterna) - su cui si basano i nostri sistemi di apprendimento, di creazione di conoscenza e di leadership, sono importanti ma non sufficienti per attivare il cambiamento profondo e l'energia che sono richiesti ora.
Abbiamo bisogno di una qualità di conoscenza che ci permetta di connetterci e di apprezzare più profondamente la dignità e l'interiorità dei mondi che ci circondano e che noi co-costruiamo e co-agiamo momento per momento.
È l'interiorità collettiva dei mondi che co-emergono in noi in generale, e le qualità più sottili ed emergenti dei sistemi sociali in particolare, che sono rimaste in un angolo cieco epistemologico se viste dal punto di vista degli approcci positivisti alla scienza.
Eppure, nel profondo della nostra esperienza, molti cittadini, responsabili del cambiamento e leader sanno che per affrontare in modo significativo la profonda policrisi del nostro tempo dobbiamo attingere a una fonte di conoscenza più profonda.
Questa fonte di conoscenza esiste già e per molti versi è alla base delle azioni di migliaia, se non milioni, di innovatori e comunità in rete in tutto il mondo.
Questa profonda consapevolezza collettiva è una porta d'accesso alle possibilità future emergenti che dipendono dalla nostra presenza e dalla nostra capacità di agire per manifestarsi”.
Il framework degli Inner Development Goals è uno strumento prezioso per prendersi cura di sé e del mondo, di sé ‘nel mondo’ e di agire per sé e per il mondo.
Per colmare quel ‘gap interiore’ che ci fa sentire – e ci rende – poco efficaci nell’avere un impatto positivo nelle organizzazioni e nella società.
Perché abbiamo capito che l’approccio efficace può essere solo quello ‘inside-out’.
La Theory U, consolidata da Otto Scharmer con la stessa consapevolezza, ci propone un modello per il cambiamento evolutivo che, anch’esso ci porta dentro, alla sorgente della nostra energia e della nostra motivazione individuali e collettive per creare il nuovo desiderabile.
La combinazione del Framework IDG con la Theory U, secondo noi di Bottega Filosofica, è quanto di più utile e più efficace abbiamo oggi per portare la consapevolezza interiore e le capacità sociali nell’esperienza concreta, nell’azione trasformativa.
Il primo passo di questo cammino è conoscere se stessi e i contesti, riconoscere e sentire la Natura come qualcosa di cui siamo parte, che ci sostiene e ci può ispirare, comprendere i sistemi in cui siamo e le interconnessioni che li generano.
Questo crea presupposti solidi per entrare profondamente in relazione con gli altri per condividere intenti, dedicare insieme tempo e attenzione all’osservazione e alla riflessione sistemica e profonda sulla realtà per far emergere quello che è già germoglio di futuro possibile e desiderabile in cui il bene individuale è anche bene collettivo.
Apprendere competenze e strumenti per passare all’azione, metterle al servizio della co-creazione allestendo spazi – fisici e mentali – in cui sia possibile condividere la visione del nuovo, propotiparla, sperimentarla, migliorarla, è il passo successivo.
Un viaggio, sempre circolare, dalla consapevolezza all’azione che ci richiede di coltivare costantemente le competenze e le qualità interiori che ci consentono e ci consentiranno di continuare a evolvere come persone, come organizzazioni, come società.
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