Breve diario delle Utopie realizzabili

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Il nostro viaggio attraverso le Utopie nell’ambito del Festival dello Sviluppo Sostenibile dell’ASVIS si è concluso.

Tre tappe – Roma, Milano e Reggio Emilia – per i nostri incontri nella forma del dialogo, della conversazione generativa, metodo e risultato della nostra pratica filosofica.  “Incontri del possibile – come li ha definiti una nostra amica - dove pensieri, esperienze e parole diventano energia che si intreccia alla coscienza del tutto”.

A Roma, due settimane fa, la prima tappa del cammino attraverso le "Utopie realizzabili". Il tema con cui quest'anno abbiamo voluto contribuire al Festival.

Perché scegliere l'utopia

Perché noi abbiamo scelto un simile tema per parlare di Sviluppo Sostenibile?

Ci viene in aiuto un passo del filosofo Roberto Mancini: “(L’utopia) Ha a che fare, più che con la fantasia proiettata verso l’irreale e più che con la futurologia che pretende di prevedere l’avvenire, con l’immaginazione profetica e politica. Tale immaginazione ‘vede’, prima ancora che sia visibile, il bene che potrà essere. […]

Avere il respiro dell’utopia è avere il senso della méta, saper aspirare alla riuscita della nostra speranza migliore, che è sempre la speranza per tutti, la speranza per la terra, la speranza di salvezza non piegata all’egoismo del mero ‘salvarsi l’anima’. In un contesto epocale come quello attuale è indispensabile ritrovare lo spirito dell’utopia. Il che comporta di tornare ad ascoltare (o di scoprire) il desiderio più profondo che abbiamo nel cuore.[…]

Tuttavia, l’utopia è anche qualcosa di più radicale. Non è solo uno spirito, una sensibilità, un’intelligenza lungimirante, una capacità di immaginare il bene per adesso latente, un progetto. Nel contempo l’utopia è un modo d’essere […]

E l’essere umano stesso è eminentemente una creatura utopica. Poiché non siamo già compiuti e chiusi nell’identità che abbiamo; siamo una domanda vivente, una tensione verso l’identità più vera, un viaggio di possibile nascita”.
(Roberto Mancini, Utopia. Dall'ideologia del cambiamento all'esperienza della liberazione, Gabrielli Editori.

Ecco, per noi di Bottega Filosofica, l’utopia è un modo d’essere, è avere il senso della méta, ascoltare il desiderio più profondo che abbiamo nel cuore e creare occasioni in cui tutt* si sentano invitati a farlo, possano sentirsi liberi di farlo.

Questo il senso dei nostri “Dialoghi sulle utopie realizzabili” e questa l’esperienza che abbiamo fatto insieme a coloro che hanno voluto partecipare.

Un paio d'ore di conversazione, di dialogo, per mettere in comune storie di vita - utopie realizzate - auspici e impegni per il futuro nella visione condivisa della realizzazione degli Obiettivi dell'Agenda 2030.

E' vero "Utopia", l'isola per la quale Thomas More coniò questo neologismo, nasce come utopia sociale, come utopia di governo. 

Le utopie individuali possiamo chiamarle desideri ma, come è facilmente intuibile, alcune – la maggior parte - concorrono certamente al raggiungimento di utopie collettive, come è appunto il mondo che siamo in grado di immaginare si realizzerà se riusciremo a conseguire gli SDGs.

Per questo oggi è cruciale rilevare e sentire propria questa direzione verso cui cominciare a camminare. E la pandemia che sembra averci inferto una battuta d'arresto, può invece diventare un'occasione preziosissima.

Il mondo che c'era prima non c'è più, che ci piaccia o no. E' il momento migliore per pensare al mondo che vorremmo - che insieme vorremmo - e pensarlo come un'utopia che si può realizzare con il contributo di tutti, ma proprio di tutti, ciascuno nel suo modo ma nella stessa direzione.

Niente da insegnare, quindi nelle nostre serate, ma piuttosto la condivisione di pensieri, desideri, emozioni. Sull'Agenda, su esperienze di utopie che pensavamo irrealizzabili, e che poi, invece, abbiamo visto realizzate, su come si potrebbero realizzare oggi, se ce ne sono altre che altri ci possono far intravedere che possiamo sentire anche nostre.

Una delle caratteristiche della pratica filosofica è partire dall'esperienza. Per questo ciascun* ha portato la propria.

Ci siamo chiesti quali fossero le utopie che si potrebbero realizzare oggi per iniziare a guardare in tanti, sempre di più, in direzione diversa, per realizzare dovunque e in tempo, gli obiettivi dell'Agenda nel loro complesso.

Si, perché sappiamo che i 17 obiettivi costituiscono un sistema e, mentre è difficile pensare che si possa realizzare uno e non gli altri, ciascuno, al contrario, funge da moltiplicatore dell'impatto positivo degli altri.

Ecco un piccolo diario, personale e certamente non esaustivo di tutta la ricchezza, di tutti gli spunti emersi nei nostri incontri in tre città diverse. Una sorta di invisibile filo rosso, rintracciabile a posteriori, che ha connesso le persone sul nostro cammino.

ROMA

Le utopie hanno guidato lo sviluppo dell’umanità ma le utopie possono essere anche molto pericolose, la visione di mondi perfetti da ‘applicare’ a tutti i costi. Ne abbiamo avute di terribili, nel corso della storia in nome delle quali sono stati sterminati popoli.

Facciamo quindi attenzione che le nostre utopie siano inclusive, accoglienti verso le utopie degli altri, aperte e dialoganti.

E puntiamo alla micro-utopia del quotidiano, dei piccoli o grandi gesti del quotidiano. Rivalutiamo l’'etica minima', poco roboante ma concreta e perseverante.

Un’utopia condivisa dai presenti è il cambiamento di un certo modello di impresa, costruire un sistema economico in cui si recuperino le caratteristiche dell’economia civile che affonda le sue radici nella scuola economica italiana fino al ‘700, nella cui visione cui il bene del singolo coincide con il bene comune.

Lavorare in imprese in cui anche ‘si stia bene’, in un modello di sviluppo che abbia senso.

Uscendo da 40 anni di ambiguità in cui, per le grandi aziende, ‘riconoscersi nella visione aziendale’ significava adesione, identificazione, modelli di Leadership a cui aderire e una presenza pervasiva dell’azienda nella vita delle persone, gli eventi con le famiglie, il torneo di calcetto, il CRAL…

Poi, a un certo punto, quando ci si è stufati di questo, si è cominciato a dire che le persone dovevano recuperare libertà, ma l’azienda ha continuato ad assorbire quasi tutto il tempo e le energie e allora si è trovato il ‘contentino’ del Welfare con la libertà – apparente – di scegliere di quali servizi fruire attraverso e con il contributo dell’azienda.

Ma libertà non può essere solo questo.

Utopia, allora, è che anche le grandi aziende diventino finalmente, autenticamente, luoghi di sviluppo e di realizzazione personale in cui trovare ‘il proprio posto’, in cui poter essere se stessi.

Aziende che siano capaci di interagire davvero con il territorio non solo una volta l’anno ma costantemente, e di svolgere il proprio ruolo sociale assumendosi anche una responsabilità, potremmo dire, ‘educativa’.

Riuscire anche magari ad essere di ispirazione o farsi occasione per giovani che non cercano più il ‘buco in cui posizionarsi’ ma piuttosto di essere nodi di reti interconnesse, vettori di fertili contaminazioni, in una fluidità di ruoli che diventa sempre più desiderata purché sia autentica e generativa e non precarietà mascherata.

Fluidità che non significa mancanza di direzione ma piuttosto chiarezza di direzione rinunciando però al ‘planning’, alla dittatura degli obiettivi, imparando a camminare su una strada che si fa camminando.

Sviluppare la capacità di seguire una direzione anche quando non sappiamo esattamente dove porterà e lasciandoci la possibilità di accogliere – o far accadere - delle cose inaspettate o in modo inaspettato.

È un po’ quello che potrebbe succedere in una delle più grandi aziende italiane in cui la necessità di rispondere alle nuove istanze del mondo si è ‘saldata’ con l’energia femminile dell’AD e della Responsabile della Sostenibilità per dare forma a una nuova visione, un’utopia’ nella quale la sostenibilità a 360° sia la lente attraverso la quale guardare il mondo dentro e fuori dall’azienda.

Un atto di coraggio che potrebbe fare da traino a tutta l’impresa italiana.

Ma nella nostra conversazione romana non si sono manifestate solo utopie legate al mondo economico, c’è stato spazio anche per le utopie sociali come quella di far arrivare la cultura a tutt*, di offrire l’opportunità di leggere a tutt*.

Avere un libro tra le mani senza averlo comprato ma ricevuto in dono da qualcuno che ha salvato quel libro dalla discarica e l’ha rimesso in un circuito vitale, perché i libri sono qualcosa di vivo e la cultura è vivificante.

Reti, comunità e persone, che, nella loro unicità, portano tanta ricchezza e diventano ‘innesco’ del cambiamento possibile.

MILANO

Anche a Milano l’utopia prende come prima forma quella dei nuovi modelli economici e di impresa, quella che condividiamo con le società nostre partner che ci hanno ospitato.

Quella delle società benefit guidate dall'utopia di contribuire al bene comune mentre si  persegue il proprio bene, di portare la propria energia per la realizzazione di un mondo giusto dove c'è spazio per tutti, ciascuno con la propria unicità.

L'utopia è diversa dal sogno personale perché riguarda la collettività ma non può fare a meno di quei sogni. Sono le persone che la portano avanti, nella convinzione che si possa realizzare.

L'essere benefit, come qualunque altra utopia è un sogno collettivo che cammina sulle gambe delle singole persone, imprenditrici e imprenditori, lavoratrici e lavoratori, persone delle istituzioni, dei media, cittadin*, clienti.

Per farlo avanzare bisogna ricordarsi costantemente di non parlare solo per la piccola élite ma per tutt*.

Ci sono storie in cui le persone non si sentono coinvolte perché il linguaggio con cui vengono narrate non è inclusivo, nel senso di accessibile e comprensibile. Vogliamo fare più attenzione.

Perseguire l'utopia non deve scollarsi dalla realtà ma, anzi, partire dal dialogo con il contesto sociale per confrontarsi con la realtà e ‘incontrare’ anche il dissenso.

Ciò che le persone fanno e pensano deriva da ciò che sono. A volte le persone rispondono a stereotipi che non hanno scelto e di cui non sono consapevoli.

La scuola e il mercato, oggi educano a essere individualist* e competitiv* e questo diffonde e sviluppa cinismo. E talvolta i giovani sembrano più cinici degli adulti. Ma chi li ha educati?

Li abbiamo davvero educati o ci siamo concentrati solo sul dare loro competenze per lavorare, per produrre in modo conforme a quello che il sistema capitalistico richiede?

Il primo passo allora sarebbe rimettere a fuoco il valore dell’educare (educere =tirar fuori). Portare fuori  il buono che c'è in ogni persona perché si esprima e contribuisca al bene comune.

Questa è un'utopia realizzabile. L'utopia realizzata è “vedere vivo il fuoco che brucia dentro le persone e le spinge ad agire”.

E certo l’utopia di un’economia diversa non è solo delle società benefit. E' l'intenzione ciò che conta, non solo l’aspetto esterno che un soggetto assume.

Il supporto delle istituzioni è importante, avere una normativa adeguata è importante, ma la società civile agisce comunque quotidianamente, in tutte le sue forme, per perseguire il suo scopo in maniera più o meno consapevole.

Le persone hanno le risorse e la volontà; devono essere e sentirsi 'abilitate' (empowered = avere l'opportunità).

L’utopia cammina verso la sua realizzazione quando è condivisa e quando ciascun* sente che “anche se posso fare poco, quel poco lo posso fare solo io e se non lo faccio mancherà qualcosa”.

Dove la singola persona si sente sola, la comunità sociale che si aggrega intorno a un tema condiviso e che agisce insieme, potenzia, moltiplica l'effetto del suo agire.

Siamo talmente circondati da messaggi di produttività,  da efficientismo e da ‘supereroi’ – super esperti, influencer, vip -  che spesso le persone ‘comuni’, quelle che vivono tutti i giorni semplicemente la propria vita coltivando pazientemente la propria piccola o grande utopia, si scoraggiano pensando o sentendo che se non si sono fatte cose eclatanti non si è fatto niente.

E’ necessario restituire valore all’azione anche semplice, anche piccola, di tutt* che va, a suo modo, nella direzione del maggior bene comune.

REGGIO EMILIA

Utopia realizzabile? E’ quella che può trasformarsi in progetti. E ha bisogno di tempo e passione.

Utopia è immaginazione, capacità di vedere con gli occhi della mente una realtà diversa ma raggiungibile attraverso un percorso che si è capaci di disegnare. Per riconoscersi questa capacità bisogna ‘innamorarsi’ della propria utopia e recuperare la progettualità che è in tutti noi.

Quando ‘desideriamo’ la nostra utopia, la vita sembra ‘incastrarsi’ nel modo giusto”.

L’utopia ha un valore salvifico, è “un paio di scarpe di scorta” quando la vita non sembra sorriderti come vorresti.

L’utopia per eccellenza è quella di cambiare il mondo, aiutare le persone a fare cose e questo guida le nostre scelte.

Poi, a un certo punto, comprendiamo che la strada non è cambiare il mondo ma cambiare noi stessi e, anche quando le situazioni sembrano molto difficili, non scoraggiarsi mai.

L’utopia esige perseveranza.

E’ la tua compagna di viaggio, nessuno la vede ma lei ti porta”.


I bambini sono ‘naturalmente’ utopici, per loro tutto è possibile.

L’adolescente sano vive di utopie sociali e quando queste vengono a mancare perde il proprio orizzonte, la prospettiva in cui crescere e svilupparsi.

Quando riesci ad aiutare le persone a ritrovare la propria utopia, queste si salvano.

Philippe Petit, il famoso funambolo dei grattacieli, dice che quando stai camminando su un filo sottile tra due grattacieli non puoi guardare né il filo né i tuoi piedi perché questo ti farebbe cadere, puoi solo guardare avanti, al grattacielo che è dalla parte opposta a dove sei tu, non al baratro sotto di te.

L’utopia è un fatto sociale nel quale si può trovare la realizzazione individuale, qualcosa “che valga la pena”.

Il goal 17 dell’ Agenda 2030 – “partnership per gli obiettivi” -  cambia la vita perché significa “pensare al plurale”.

Utopia è avere il coraggio di realizzare un cambiamento, “è il sogno che quando c’è diventa ‘il succo’” e forse ci accorgiamo che era un’utopia quando la vediamo realizzata e ci guardiamo indietro. Vediamo la nostra piccola utopia nella sua concretezza.

Perché un’utopia per essere realizzabile deve essere ‘utopia concreta’.

E riguardo alle aziende B, non possono nascere dall’inautenticità.

Se una persona non è B, non è orientata in tutta la sua vita al bene comune, non è in grado di creare un’azienda veramente B. Si può andare dal notaio e cambiare lo statuto ma questo non cambia nulla.

Per creare e portare avanti un’azienda B sono necessari umiltà e coraggio. Umiltà, essere radicati nell’humus, nella terra.

E coraggio, agire dal cuore, da dentro, dalla fonte sorgiva della nostra energia.

E ancora ‘accontentarsi’, sapere quando è abbastanza, vivere nel pensiero dell’abbondanza, non della scarsità.

Utopia realizzabile è sostenere e sviluppare un sistema economico che sappia tenere insieme il bene individuale e il bene comune, l’accontentarsi e il non accontentarsi.

Creare città, comunità e luoghi di lavoro davvero sostenibili per tutti. Per farlo è necessario essere insieme.

Dall’ultimo obiettivo dell’Agenda 2030, il 17, trarre la forza per realizzare tutti gli altri.