Mentoring per costruire Futuro

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Il mentoring è molto più di uno strumento di sviluppo professionale: è una relazione viva che unisce generazioni, costruisce legami e genera futuro.

Dalle radici antiche – dall’Odissea alle botteghe rinascimentali – fino alle pratiche attuali nelle organizzazioni, il mentoring si rivela un atto di cura e responsabilità intergenerazionale, capace di trasmettere competenze, valori ed etica professionale.

L’articolo esplora le differenze con il coaching, il valore del reverse mentoring, l’importanza di strutturare ma al tempo stesso lasciare autonomia ai percorsi, e il contributo di questa pratica alle grandi trasformazioni contemporanee.

Un invito a riscoprire la forza generativa dell’incontro umano come leva di crescita personale, comunitaria e organizzativa.

Nel vortice di un tempo che celebra la velocità e la novità costante – un ossimoro, se ci pensiamo -, spesso si perdono la profondità e la continuità che danno senso al nostro cammino.

Anche le carriere, oggi, non sono più sentieri lineari: cambiano ruoli, settori, orizzonti, e il patrimonio di conoscenze acquisito non dà più sicurezza ma, piuttosto, si rivela fragile, destinato a diventare obsoleto in fretta.

In questo scenario incerto, trovare qualcuno che ti accompagni, che sappia leggere insieme a te i segni del tempo e offrirti chiavi di interpretazione fondate sull’esperienza, diventa un dono prezioso.

Nella vita, quasi tutti l’abbiamo vissuto, in qualche modo, spesso senza rendercene pienamente conto.

Pensiamo a quei momenti in cui, in un passaggio delicato o in una situazione per noi nuova, qualcuno ci ha offerto ascolto, guida o una prospettiva capace di chiarire il cammino. Può essere stato un insegnante che ha acceso una scintilla di curiosità, un collega più esperto che ha condiviso un consiglio prezioso, un familiare che ci ha trasmesso valori o insegnamenti fondamentali, o un amico che ci ha sostenuto nei momenti di dubbio.

Oppure ci siamo trovati e ci troviamo, anche qui frequentemente in maniera inconsapevole, ad essere guida nella vita di altri. Sono quei momenti in cui, in modo spontaneo e gratuito, offriamo la nostra esperienza, un consiglio, un esempio che può ispirare o sostenere qualcuno lungo il proprio cammino. Può accadere con un collega più giovane che cerca un orientamento, con un amico in difficoltà, o addirittura con una persona incontrata per caso.

Questi atti di condivisione, anche se informali e non strutturati, sono forme ‘naturali’ di mentoring. Quando raccontiamo una nostra esperienza vissuta, quando ascoltiamo con attenzione e proponiamo una via possibile, stiamo costruendo legami di fiducia e contribuendo alla crescita di qualcun altro.

Questi incontri informali, fatti di scambi spontanei e di piccoli doni di esperienza, costituiscono l’essenza su cui si fonda una pratica più articolata e consapevole all’interno delle organizzazioni.

Lì, quell’esperienza personale, emergente come naturale, può trasformarsi in un percorso volontario e supportato dal contesto, con obiettivi chiari, strumenti dedicati e un’attenzione particolare alla qualità della relazione e ai risultati di crescita, moltiplicando le occasioni di sviluppo per individui e comunità lavorative.

Un vero e proprio investimento nel capitale umano e nel futuro dell’organizzazione.

Mentoring, una pratica che attraversa la storia

Il mentoring affonda le sue radici in storie antiche e suggestive che raccontano molto di più di un semplice trasferimento di competenze: sono narrazioni che parlano di cura, fiducia e crescita condivisa.

Mentore è l’amico fidato al quale, nell’Odissea, Ulisse chiede di prendersi cura del giovane Telemaco perché diventi uomo e si prepari ad essere re. Un processo di crescita personale e di scoperta del proprio ruolo nel mondo. Questo esempio mitico incarna una delle dimensioni più profonde del mentoring: una responsabilità di custodia e un investimento nel futuro, in un rapporto intessuto di fiducia e responsabilità intergenerazionale.

Nell’antichità greca, quello che oggi chiamiamo mentoring assume forme diverse, ma sempre potenti, anche all’interno delle Accademie e delle Scuole.

Nell’Accademia Platonica non si insegnava solo un sapere tecnico o filosofico, ma si trasmetteva uno stile di vita, una visione del mondo e una pratica di pensiero critica e creativa. Qui il rapporto maestro-allievo diventava un cammino di iniziazione, dove l’educazione era un processo integrale volto a formare uomini e cittadini consapevoli e liberi.

Altre scuole e accademie antiche – il Liceo di Aristotele, la Scuola Stoica, la Scuola Epicurea, per citare quelle più note - seguirono questo modello di insegnamento come esperienza relazionale e di crescita condivisa, molto simile alla moderna concezione di mentoring.

Arrivando a epoche più recenti, il Rinascimento italiano ci offre un ulteriore esempio di mentoring, quello praticato nelle botteghe artigiane (al quale anche noi di Bottega Filosofica idealmente ci ispiriamo).

Qui l’apprendista non si limitava a imparare tecniche e abilità manuali, ma cresceva respirando l’ambiente culturale, artistico e umano del maestro. Respirava visioni, modi di pensare, approcci alla bellezza e alla perfezione tecnica che diventavano parte della sua identità. Questa relazione, che durava anni, era fatta di continuità, pazienza e approfondimento.

Ancora oggi, in molte realtà artigiane italiane, si coltiva questa tradizione viva, gesto di trasmissione del sapere che va ben oltre la mera competenza tecnica.

Questi esempi antichi e ancora attuali testimoniano come il mentoring non sia una moda recente, ma una pratica profonda di accompagnamento umano, di intreccio tra vite e generazioni e di costruzione di futuro.

Ogni epoca ha trovato nella relazione ‘mentor-mentee’ uno spazio di cura e sviluppo, all’interno del quale si uniscono esperienza, fiducia e la promessa di un cammino comune.

Riallacciarci a queste radici vuole essere un invito a recuperare e rinnovare, nel mentoring praticato nelle nostre organizzazioni e comunità, questa dimensione relazionale peculiare.

Oltre la formazione: una relazione viva

Il mentoring non è un corso di formazione, non è una procedura codificata, non è un pacchetto di competenze da trasferire. È prima di tutto una relazione viva. Un incontro tra due persone che decidono di camminare insieme per un tratto di strada: un(a) mentor, che offre la propria esperienza, i propri apprendimenti e le proprie cadute; e un(a) mentee, che porta curiosità, energia e domande nuove.

Il filosofo Martin Buber nel suo libro dal titolo “Io e Tu” (trad. italiana a cura di P. A. Rovatti), scrive “ogni vita vera è incontro”: il mentoring è proprio questo, l’incontro tra due storie che si illuminano a vicenda.

Nel mentoring ciò che conta non è soltanto il contenuto dello scambio – consigli, pratiche, orientamenti – ma la qualità del legame che si crea. È in questa dimensione relazionale che si attiva un apprendimento che non è solo cognitivo, ma anche emotivo ed esistenziale.

Il cuore di questa pratica però, a mio parere, risiede nella reciprocità: non è un semplice trasferimento unidirezionale di conoscenze ed esperienze dall’esperto al meno esperto, ma un dialogo vivo e dinamico che arricchisce entrambe le persone coinvolte.

Mentre il/la mentee riceve guida, sostegno e nuovi punti di vista per affrontare le proprie sfide, il/la mentor sperimenta una rinnovata energia e una profonda gratificazione derivante dal contributo che dà alla crescita dell’altro(a).

Questa relazione costituisce un terreno fertile nel quale è possibile coltivare apertura, ascolto autentico e umiltà da entrambe le parti. Il/la mentor, pur essendo guida, integra nuove idee e prospettive portate dal(la) mentee, che a sua volta cresce non solo grazie all’esperienza del(la) mentor ma anche alla possibilità di esprimersi, sperimentare e mettere in discussione se stesso(a).

È uno scambio continuo di apprendimenti ed emozioni, in cui il confine tra chi insegna e chi impara si sfuma, lasciando spazio a una co-creazione di senso e di sviluppo, che come abbiamo esplorato in un precedente articolo di questo blog, sono di grande importanza nelle organizzazioni contemporanee.

In questo scambio reciproco, il mentoring diventa quindi un percorso di crescita condivisa e di trasformazione personale: un incontro dove entrambi si lasciano toccare, cambiare e arricchire. Questo rende il mentoring non solo un atto di cura verso l’altro, ma anche un viaggio di scoperta per sé medesimi.

Coaching e mentoring: affinità e differenze

Il mentoring viene talvolta confuso con il coaching ma, sebbene molte delle competenze utilizzate siano comuni, si tratta, invece, di due pratiche diverse.

Entrambe le esperienze si fondano su una relazione di fiducia e hanno come obiettivo lo sviluppo della persona ma, mentre il coaching è centrato su processi di consapevolezza e responsabilizzazione - in cui il/la coach non danno risposte ma facilitano il pensiero del(la) coachee -, il mentoring implica la disponibilità del(la) mentor a mettere in gioco anche il proprio sapere e l’esperienza personale di lavoro e di vita.

Potremmo dire che il coaching aiuta a trovare le proprie risorse interiori, mentre il mentoring offre anche un patrimonio esterno: modelli, storie, strumenti che hanno funzionato altrove.

Nella realtà possiamo considerare coaching e mentoring pratiche complementari ed è utile, quindi, comprendere quando ricorrere all’una o all’altra.

Il mentoring come ponte tra generazioni

Mai come oggi le generazioni hanno bisogno di parlarsi. Il rischio di un dialogo mancato è alto: da un lato i più giovani, immersi in linguaggi e strumenti digitali e portatori di sensibilità nuove rispetto a temi come sostenibilità, inclusione, giustizia ambientale e sociale; dall’altro i più esperti, custodi di saperi taciti, di pratiche maturate negli anni, di un patrimonio relazionale prezioso.

Il mentoring può essere il ponte che unisce queste sponde, permettendo di trasmettere non solo conoscenze operative, ma anche valori, etica professionale, senso di continuità e, allo stesso tempo, spalancando finestre verso nuove prospettive e paradigmi emergenti.

Ogni generazione riceve in eredità un mondo che non ha costruito, ma ha la responsabilità di consegnarlo rinnovato a chi verrà. In questo gesto di cura e responsabilità intergenerazionale si incarna quel bellissimo concetto di amor mundi che Hannah Arendt ha espresso nell’ultimo capitolo del suo “Vita Activa”: prendersi a cuore la crescita dell’altro come azione concreta di cura del mondo.

Reverse mentoring: uno scambio che sorprende

Il ponte che siamo più abituati a pensare è quello attraversato dalla persona più grande verso quella più giovane, ma nella realtà non è a senso unico, può essere attraversato anche nella direzione opposta.

È quello che accade talvolta nelle organizzazioni più innovative e coraggiose e che è stato chiamato ‘reverse mentoring’, ovvero la pratica per cui anche i più giovani diventano mentori dei più anziani. 

In un precedente articolo del Blog di Bottega Filosofica, ne abbiamo raccontato un’esperienza, progettata e condotta con un'organizzazione nostra cliente.

Un altro esempio è quello che accade nelle grandi aziende tecnologiche, che hanno attivato programmi in cui i nativi digitali insegnano ai manager più esperti ad abitare il mondo delle piattaforme, dei social media, dell’intelligenza artificiale, con maggiore confidenza.

Ma, anche qui, non si tratta solo di acquisire strumenti tecnici. Attraverso il reverse mentoring passa anche una sensibilità diversa: la capacità di riconoscere le nuove priorità sociali e ambientali, il desiderio di un equilibrio vita-lavoro più sostenibile, la ricerca di autenticità.

Questo rovesciamento di ruoli ha un duplice valore: aiuta i senior a restare in contatto con le trasformazioni in corso e offre ai più giovani un riconoscimento della loro competenza.

E, se ci pensiamo, è anche un modo per riequilibrare il potere nelle organizzazioni e trasformare gli scambi in qualcosa di fecondo per tutti.

Costruire legami e comunità

Il mentoring è anche un attivatore di comunità.

In contesti organizzativi spesso dominati dalla competizione e dalla pressione dei risultati, il mentoring apre uno spazio di fiducia, ascolto e reciprocità, riduce l’isolamento, sostiene i passaggi critici di carriera, rende più fluida l’integrazione delle nuove persone che arrivano.

Certamente in molti ricordiamo l’attributo di ‘liquida’ che il sociologo Zygmunt Bauman usava per connotare la modernità nella nostra epoca, caratterizzata da relazioni fragili e provvisorie.

Il mentoring può rappresentare, in controtendenza, un’esperienza di legame duraturo, in cui ci si prende cura l’uno dell’altro. Un'esperienza che alimenta la coesione interna che, come abbiamo già visto, costituisce sempre più un asset strategico per le organizzazioni.

In questo senso, infatti, contribuisce a rafforzare quel capitale sociale che, come sostiene Amartya Sen, premio Nobel per l’economia nel 1988, nel suo libro “Lo sviluppo è libertà. Perché non c'è crescita senza democrazia”, è condizione essenziale per lo sviluppo umano e organizzativo.

Un investimento nel futuro

Se misurato con i parametri classici dell’efficienza, il mentoring può sembrare un’attività superflua, ‘non produttiva’, giacché non si traduce in KPI visibili nell’arco di settimane. A lungo termine, però, i suoi effetti sono molto tangibili in termini di generazione di valore e di impatto, ad esempio, su:

retention: i/le mentee si sentono sostenuti e radicati, i/le mentor ritrovano motivazione e senso, le organizzazioni riducono il turnover

engagement: cresce il coinvolgimento emotivo, che è la vera leva della produttività

leadership diffusa: i/le mentee imparano a guidare se stessi e, col tempo, altri; i/le mentor affinano capacità di ascolto e guida non direttiva.

innovazione: dal dialogo tra generazioni e saperi diversi nascono intuizioni nuove, non riducibili a ciò che ciascuno avrebbe pensato da solo.

Mentoring e organizzazioni: autonomia e struttura

Perché il mentoring funzioni nelle organizzazioni non basta “mettere insieme le persone”.

Per godere pienamente dei vantaggi del mentoring nelle organizzazioni è importante che ci sia una cornice organizzativa riconoscibile: un intento e una visione chiara e un disegno condiviso degli obiettivi, criteri trasparenti di abbinamento, momenti di formazione alle competenze e al ruolo per mentor e mentee, strumenti di monitoraggio e di valutazione dell’esperienza.

Al tempo stesso, però, bisogna lasciare massima autonomia ai partecipanti.

Come abbiamo visto, il valore del mentoring nasce proprio dall’autenticità della relazione; per questo il mentoring non può essere imposto, deve fiorire all’interno di un vero desiderio. L’organizzazione ha il compito di predisporre il terreno fertile e poi di non interferire troppo. Bisogna trovare un delicato equilibrio tra supporto e libertà.

I programmi di mentoring più efficaci sono quelli strutturati con grande attenzione ma lasciando alle coppie di mentor e mentee la possibilità di scegliersi reciprocamente -  confermando o meno la proposta fatta dall’organizzazione - e di decidere frequenza, modalità e temi degli incontri.

Questa flessibilità è ciò che garantisce il successo dell’iniziativa e consente di superare le principali potenziali difficoltà.

Le sfide del mentoring

Anche il mentoring, infatti, pur nella ricchezza delle sue potenzialità, non è esente da sfide. Le differenze generazionali, certamente generatrici di grande valore, possono talvolta tradursi in incomprensioni linguistiche o culturali, richiedendo un plus di pazienza e apertura.

Inoltre, nelle dinamiche di mentoring è fondamentale allineare chiaramente le aspettative di entrambi: mentor e mentee devono condividere obiettivi realistici e rispettare i propri tempi, evitando pressioni e forzature.

L’equilibrio tra supporto e autonomia è un aspetto delicato anche all’interno dell’esperienza di mentoring: il/la mentor deve sapere quando guidare e quando lasciare spazio per la crescita indipendente; il/la mentee, pur mantenendo un senso di rispetto e gratitudine, deve saper esprimere chiaramente i propri bisogni, dare feedback schietti, proporre aggiustamenti.

Queste criticità, se riconosciute e affrontate con consapevolezza, diventano occasione di crescita per la relazione stessa, rafforzandola nel tempo.

Il contributo del mentoring alle grandi trasformazioni contemporanee

L’impatto del mentoring si amplifica se considerato nel contesto delle grandi trasformazioni contemporanee.

In un’epoca che mette al centro la sostenibilità, il benessere organizzativo e la diversità, il mentoring diventa un ottimo strumento per coltivare una cultura inclusiva, equa e consapevole delle responsabilità individuali e collettive.

Può, ad esempio, sostenere i processi di lavoro agile e ibrido, aiutando a sviluppare competenze di adattamento e resilienza.

Inoltre, come già accennato, in un mondo digitale in rapida evoluzione, il mentoring facilita la condivisione di saperi tecnologici e mindset innovativi, permettendo un dialogo generativo tra tradizione e futuro, tra valori consolidati e sfide emergenti.

Un orizzonte culturale da sviluppare

Se il mentoring all’interno delle organizzazioni non è una moda manageriale ma un modo per vivere il lavoro non solo come produzione, ma anche come connessione, cura, costruzione di senso, recuperare oggi questa dimensione significa resistere a una cultura che separa e frammenta e scegliere, invece, di coltivare relazioni generative.

Proprio in questa direzione andranno i lavori della prossima Global Mentoring Conference di EMCC (European Mentoring and Coaching Council) che si terrà a Firenze dal 9 all’11 ottobre prossimi.

La scelta dell’Italia e di Firenze non è stata casuale, l’intento che abbiamo avuto (sono nel Consiglio Direttivo di EMCC Italia) è quello di ‘situare’, anche emotivamente, la riflessione e il confronto tra i progettisti di sistemi di mentoring e i professionisti di questa pratica che ci raggiungeranno da tutto il mondo.

Circondati dalle stesse strade acciottolate dove un tempo camminavano i maestri dell'arte, la ricca eredità culturale di Firenze offre, infatti, uno sfondo perfetto affinché storia, innovazione e creatività possano convergere per ispirare il futuro del mentoring come catalizzatore di trasformazione sostenibile per gli individui e le organizzazioni.

Ogni relazione di mentoring è, come abbiamo visto, un investimento nel futuro, un atto di fiducia nel potenziale dell’altro e nel potere generativo delle relazioni umane.

In sintesi

In un’epoca di connessioni digitali e di relazioni spesso fugaci, il mentoring ci ricorda la forza antica – e sempre attuale – dell’incontro umano.

È un patto generativo che intreccia biografie, esperienze e visioni. È la possibilità di costruire un futuro in cui nessuno cammina da solo, ma ciascuno trova un punto di riferimento e, a sua volta, diventa riferimento per altri, perché apprendere è sempre una questione di legami.

Il mentoring non è solo uno strumento di sviluppo: è speranza attiva. È costruzione paziente e consapevole di presupposti perché il sapere accumulato non vada perduto, perché le nuove generazioni possano farne tesoro, perché la crescita personale e professionale sia sempre anche un gesto collettivo.

Se quello che hai letto ti ha toccato, puoi fare il primo passo verso il mentoring con un semplice gesto: cercare un(a) mentor, offrire te stesso(a) come mentor o promuovere in azienda o nella tua comunità programmi strutturati di mentoring.

Sperimentare questa pratica è una magnifica opportunità per aprirsi al dialogo, al confronto e alla trasformazione.